Onofrio Buccini nacque a Marcianise il 18 dicembre 1825 da Raffaele (nato a Portici nel 1789) e Maddalena Amato di Capodrise (morta il 14 aprile 1875) che ebbero cinque figli: Venera, Giacomo, Onofrio, Teresa e Vincenzo (rimasto muto). Onofrio sposò Giovannina Abbate, figlia di Raffaele (scultore in legno al Largo delle Pigne), che conobbe a Napoli nel 1853 quando lei aveva 15 anni.
Nel 1877 la sua importante opera “La Carità” (una donna che elargiva la carità a un povero mendicante) fu collocata sul sagrato della chiesa dell’Annunziata di Marcianise, dove fu per molto tempo tenuta occultata con alcuni drappi e scoperta di nascosto, di notte, solo nell’aprile dell’anno successivo, negando allo scultore la soddisfazione di una degna inaugurazione in presenza di autorità e popolazione.
Nel 1892, a 67 anni, Buccini iniziò a scrivere la sua Autobiografia: in questo periodo aveva il figlio Umberto (primogenito) 3 figlie sposate (Clorinda, Olimpia e Virginia), due nubili (Emilia e Gemma) e il figlio Attilio che frequentava ancora la scuola.
Tra i discendenti dello scultore Buccini residenti a Marcianise ricordiamo la famiglia del noto ing. Gaetano Romano, nato il 25 febbraio 1920 e deceduto nel 1981, che discendeva dal fratello di Onofrio, Giacomo (primogenito). L’ing. Gaetano era coniugato con la professoressa Amelia Avitabile nata l’1 gennaio 1928 e morta nel giugno 2017; anch’ella discendente da una sorella di Onofrio, Venera.
La professoressa Amelia, come ricordano ancora oggi i suoi figli, ripeteva più volte che il personaggio femminile a cui si ispirò il famoso scultore nel realizzare il monumento “La Carità”, era sua figlia Clorinda Buccini. E sembrerebbe che fu proprio Clorinda in persona, in età avanzatissima, a raccontargli questo fatto quando la professoressa era ancora una bambina.
Un altro erede del Buccini emigrò negli Stati Uniti dove divenne un uomo d’affari molto importante, al punto da essere menzionato nel famoso libro di Joseph William Carlevale del 1946, “I principali americani di origine italiana nel Massachusetts”. Si tratta di Henry Andrew Mortone. Nel libro di Carlevale il Mortone viene presentato come nato a Marcianise (allora provincia di Napoli), ma in realtà da alcune ricerche risulta essere nato a Capodrise il 9 gennaio del 1890 con il nome di Andrea Martone, da Gaetano Martone (calzolaio) e da Angela Buccino (filatrice), nipote dello scultore Onofrio, residenti in Capodrise alla via Botteghe n. 30. È probabile che una volta in America, Andrea Martone, oltre a cambiare vita, cambiò anche il suo nome e cognome.
Henry Andrew Mortone, istruito nelle scuole pubbliche di Genova, arrivò in America nel 1906, stabilendosi a Springfield al 58 Crown St. In attività dal 1937, era proprietario della Winchester Shoe Rebuilding Co., 787 ½ State St. In precedenza fu responsabile del reparto riparazione scarpe presso lo Steiger Dept Store per 20 anni. Sposato con Ida Legittime di Napoli l’11 novembre 1921 ebbe tre figli: Angela, diplomata al liceo classico; Gaetano, diplomato al liceo tecnico; e Mario all’epoca ancora studente. Fu membro del Columbus Country Club e dell’Order Sons of Italy, e fu primo delegato supremo dal Western Mass. Contribuì a unire le due logge, i Bersaglieri e la Lega Protettiva in un unico club. Aveva una sorella che si chiamava Francesca Romano.
Nufriello, nipote dello scultore Buccini
L’erede più noto ai marcianisani dello scultore Onofrio Buccini è un suo nipote che portava il suo stesso nome, Onofrio Buccini (Buccino) detto simpaticamente ‘Nufriello ‘a Palomma (molti lo chiamavano Lufriello), nato a Marcianise il 30 luglio 1903 da Luigi e Anna Cervo. Un personaggio mite, brav’uomo, sempre con cappello in testa sotto il quale, negli ultimi anni della sua vita, scendevano lunghi capelli lisci e bianchi.
Visse buona parte della sua età matura nel cosiddetto ospizio che era situato nell’edificio dell’ex ospedale di Marcianise dove dimoravano altri personaggi che ebbero una vita sfortunata.
Indossava un abito grigio, spesso con un panciotto che custodiva un immancabile orologio da taschino argentato, e da qualche altra tasca dell’abito spuntava una catenina a cui era gelosamente legata una piccola forbicina, l’attrezzo della sua arte.
Grande e originale artista del ritaglio della carta (oggi si direbbe papercutting), non si fermava alla semplice sagomatura delle sue silhouette, ma le decorava e le rendeva animate con una sua tecnica personale.
Le tasche della sua giacca erano sempre piene di scatole di medicinali vuote di colore bianco, che recuperava dai rifiuti dell’ospedale e che gli servivano per realizzare i suoi capolavori di carta: ago e cotone completavano la sua attrezzatura artistica.
I suoi lavori più comuni erano anche quelli più economici: ‘a palomma, una farfalla il cui salto era azionato da un elastico applicato con maestria alle ali, costava dalle cinque alle dieci lire, a seconda che l’acquirente fosse un bambino oppure una persona più adulta; le “valline”, una coppia di galline che animate manualmente da due asticelle sempre di cartoncino, beccavano alternativamente il cibo da una ciotola centrale. Poi c’erano le composizioni più elaborate e più costose (dalle trenta alle cinquanta lire) come la giostra, formata da cavallucci e altre sagome che ruotavano intorno a un asse centrale di “ferro filato” sormontato da una cimasa ritagliata ad arte; oppure un uomo e una donna che, animati manualmente, si muovevano “in atto d’amore”: quest’ultima poteva essere venduta solo a persone adulte e i bambini non potevano neanche assistere alla sua realizzazione, e se qualcuno ci provava veniva sgarbatamente fatto allontanare dallo stesso artista. I lavori finali venivano poi magistralmente rifiniti con decori a penna e pastelli: il colore rosso sui becchi e le creste delle galline o sul pene del maschio; i decori alle ali delle farfalle; gli occhi e altri delineamenti dei personaggi di cartone.
Il suo essere troppo buono e il suo naturale aspetto sui generis, gli procurava immeritati fastidi verbali che bambini, e a volte anche adulti, si sentivano in diritto di scagliargli contro, facendolo spesso irritare in maniera anche vistosa.
Morì a Marcianise alle ore tredici del 26 aprile 1978 all’età di 75 anni e fu inizialmente tumulato nella parte interrata della storica cappella cimiteriale cosiddetta “dei monaci”, per poi essere spostato lungo la parete perimetrale ovest del cimitero dove tutt’ora si trova.
Nella sua autobiografia, sotto l’ironico titolo “Fumo”, lo scultore Onofrio Buccini elenca tutti i suoi titoli acquisiti durante la sua vita: – Professore del Reale Istituto di belle Arti – Cav./re del grande Areopago dei Cav./ri Salvatori di Marsiglia – Componente della R. Commissione Conservatrice dei Monumenti d’Antichità e Belle Arti in Terra di Lavoro – Cittadino Onorario della Città di Capua – Socio Onorario della Casina popolare di Marcianise – Socio Onorario della Società Operaia G. Garibaldi di Caserta, del Circolo Morale e Lavoro e del Corpo degl’Insegnanti – Socio Onorario della Società di Casapulla-Tuoro e dei Campi Stellati della Città di Capua – Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia – Prof. di disegno e plastica della scuola 2ª sez./ne della Società Centrale Operaia Napoletana, Direttore e Socio Benemerito – Presidente della Società Vanvitelli in Caserta, di altri Circoli, e Società di Napoli.
Il racconto della sua vita, da lui stesso scritto di proprio pugno, si conclude con le seguenti amare parole:
“…Pur troppo con amore ha lavorato; non per sua colpa ha fatto poco; ma bensì per i tempi avversi alle scienze ed alle arti; spera che il suo povero e piccolo nome non venga dai posteri dimenticato.
È dolente di non aver potuto lasciare alla sua cara e intelligente famiglia una discreta posizione. Il figlio Eduardo è dedicato alla musica, e gode un bel nome in Italia e all’estero. Clorinda, Olimpia e Virginia trovansi maritate; rimanendogli in casa oltre la sua cara e buona consorte Eduardo, Umberto dotato di talento e genio per la scrittura, Emilia e Gemma nubili; infine Attilio che frequenta la scuola.
…Uniformandosi al destino di questo porco e schifoso mondaccio, con pazienza e coraggio seguiterà a tirare innanzi il breve rimanente di sua vita, sperando prima di finire dall’Onnipotente Iddio veder collocati mediocremente i suoi figli, e portare con se le progettate idee artistiche nella tomba”.
Chiuderà la sua Autobiografia con un componimento dello scrittore, giornalista e politico scozzese suo contemporaneo, Samuel Smiles (1812 – 1904):
«Si muoia pur: la morte al sonno è uguale, sol che riposi quanto di noi resta in tomba fida onesta; – e se il guanciale sia di piuma o di polvere, non cale.»
Gianni Di Dio