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“La Carità di Onofrio Buccini”: qual è il significato e a chi si ispirò lo scultore marcianisano? | di Alessandro Tartaglione

Quante volte sarete passati davanti alla Carità di Onofrio Buccini? Una statua simbolo di Marcianise che dà anche il nome alla storica piazza. Ma chi era Buccini? Perché fu costruita questa scultura? A chi si ispirò lo scultore? In questo approfondimento ho cercato di dare risposte a queste domande attraverso la consultazione dell’Autobiografia del Buccini che si trova nella Biblioteca del Museo Provinciale Campano di Capua (recentemente trascritta e pubblicata grazie all’essenziale lavoro del Liceo Artistico di Marcianise), documenti anagrafici presenti nell’Archivio di Stato di Caserta ed il sito web del Museo di Capodimonte.

Onofrio Buccini nasce a Marcianise il 16 dicembre 1825 da Raffaele e Maddalena Amato. Fu chiamato Onofrio in ricordo di uno zio militare che morì in battaglia. Di famiglia modesta, suo padre faceva il maniscalco, divenne molto presto orfano di padre all’età di soli 8 anni. Si trasferisce da Marcianise a Caserta presso la casa di un suo zio. Sin da piccolissimo si fa notare per il suo estro e ben presto comincia a dipingere e a realizzare da autodidatta. Grazie ad un assegno mensile elargito dalla Beneficenza di Marcianise (oggi diremmo una borsa di studio) riuscì ad iscriversi e a studiare all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Ben presto comprese che la sua propensione era quella di plasmare la materia e, agli inizi degli anni ’40 dell’800, cominciò a frequentare la bottega d’arte dello scultore Antonio Calì noto per il suo stile neoclassico perfezionatosi a Roma sotto la guida di Canova e Thorvaldsen. Calì, catanese di origine, fu un severo ma efficace maestro per il Buccini. Onofrio cominciò a farsi notare nel mondo artistico napoletano e così il Principe Leopoldo II di Borbone, conte di Siracusa (fratello di re Ferdinando II delle Due Sicilie), dilettante e mecenate delle Belle Arti, lo volle fortemente nel suo studio di scultura. Buccini collaborò con il Principe per la realizzazione di diverse opere tra cui la statua di Giambattista Vico  (1862) presente presso la Villa Comunale di Napoli. L’artista marcianisano diventò molto noto grazie alla realizzazione della Fontana della Sirena Partenope inaugurata nel 1869 a Napoli ricevendo importanti elogi dal mondo artistico ed istituzionale.

Schedoni: La carità (1611), Napoli, Gallerie di Capodimonte

I successi e la grande popolarità dell’artista arrivarono alla sua città natale e nel 1871, su impulso del sindaco Nicola Gaglione, la Congregazione di Carità ed il Comune commissionarono al Buccini la creazione di un’opera che celebrasse la Carità. Nella seconda metà dell’800, l’amministrazione municipale, guidata dal notaio Gaglione, diede vita ad una profonda trasformazione urbanistica della città dotandola non soltanto di servizi più moderni ma anche di elementi architettonici che la rendessero esteticamente più bella. Il Buccini, desideroso di lasciare un segno nella sua terra natale, accettò un compenso modesto per realizzare la scultura: 14mila lire erano a carico della Congregazione di Carità mentre il Municipio concorse alla spesa con 8mila lire, necessarie per la costruzione del basamento.

Inizialmente l’artista pensò di rappresentare “una bella Madonna che vagheggiava avendo tra le braccia un pargoletto addormentato” e di un uomo adulto che con le mani avvolgeva la veste della donna. Così facendo, però, avrebbe posto l’accento sull’amore materno piuttosto che al tema della “carità”. Alla ricerca di un’idea il Buccini capitò davanti al dipinto della Carità di Bartolomeo Schedoni che si trovava all’epoca al Museo Nazionale di Napoli (attuale Mann) ed oggi presente al Museo di Capodimonte, facente parte della Collezione Farnese. La pittura di Schedoni oscillava tra le atmosfere fumose e sognanti degli artisti dell’area emiliana, dove si formò, e le nuove luci e i personaggi popolari di Caravaggio. Il capolavoro di Schedoni preso a riferimento da Buccini, datato 1611, rappresenta l’Elemosina di Santa Elisabetta d’Ungheria, figlia del re dei magiari Andrea II, che dedicò la sua brevissima vita a opere di carità. Nel dipinto la santa offre, per strada, un pezzo di pane ad un mendicante che a sua volta guida un cieco. In primo piano un bambino che raffigura un orfano. Un dipinto allegorico che esaltava la misericordia realizzato in un clima di crescente attenzione nei confronti dei poveri. L’opera illuminò il Buccini che doveva realizzare una scultura che celebrasse la missione della Congregazione di Carità, cioè sostenere i poveri. Si convinse così a realizzare una giovane donna del popolo, né povera né ricca, che porge, lievemente sorridendo, con la mano destra un tozzo di pane ad un povero anziano. Il vecchio, seduto su un sasso, con un bastone adagiato tra le gambe, nel mentre raccoglie il gradito dono guarda negli occhi la donna in segno di ringraziamento. Quest’ultima appoggia la mano sinistra al seno sfiorando la collana a cui è appesa una piccola croce simbolo della fede.

La Carità di Buccini è un inno alla generosità disinteressata in cui si vuole esaltare l’essenza dell’altruismo: un gesto semplice e sincero, un’offerta di cuore a chi si trova in difficoltà. La statua è un simbolo di speranza e solidarietà, un invito a prendersi cura del prossimo. Un ricordo perenne dell’importanza di tendere la mano a chi è meno fortunato e di praticare la carità con amore e cristiana compassione.

Alessandro Tartaglione

Statua de “La Carità” – Onofrio Buccini (1877) – Piazza Carità Marcianise (Caserta)

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Alfonso Alberico - Marcianise

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