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Mario “Ziki-Paki” Allegretta, il poliedrico ed originale artista si racconta: gli esordi, la passione per la musica ed il teatro, gli aneddoti | di Alessandro Tartaglione

75 anni compiuti, nato a Marcianise il 19 febbraio 1948, Mario Allegretta è una vera e propria istituzione qui in città per via delle sue riconosciute doti artistiche che vanno dalla musica al teatro. La prima curiosità la svela subito all’inizio del nostro incontro, il perché di quel soprannome, oggi diremmo nickname, che lo contraddistingue da sempre: “Ziki-Paki”. Un nomignolo che deriva da un brano musicale del 1929, dal titolo “Ziki-Paki, Ziki-Pu”, scritto da Vittorio Mascheroni e da Peppino Mendes e portato al successo da Gabrè. Si tratta di un tipico brano dei cafè chantant riproposto nel repertorio dell’avanspettacolo degli anni ’50 e cantato anche da Nicola Arigliano.“Era mio padre che la cantava sempre – spiega Mario Allegretta – quando si esibiva nei cortili di Marcianise, ma anche quando andava fuori città. Essendo un suo cavallo di battaglia, in molti lo cominciarono a chiamare “Ciccio Ziki-Paki”. Poi il nome, come accade spesso, passa anche ai figli e quindi io sono diventato “Mario Ziki-Paki”.

“Da piccolo, avrò avuto 5 o 6 anni, ascoltavo sempre la musica alla radio – racconta – e mi emozionavo molto. Senza saper suonare conoscevo già delle armonie che poi dopo, quando cominciai a fare musica, mi ricordavo di aver già assimilato. In radio si trasmettevano anche dei racconti che venivano rappresentati attraverso parole e rumori”. Si trattava dei cosiddetti “radiodrammi”, testi letterari scritti appositamente per essere letti e diffusi via radio. Il radiodramma si collegava alla tradizione del racconto orale, ma impegnava l’autore a far interagire la parola, attraverso il montaggio, con le musiche, i suoni e i rumori. “Attori bravissimi, che venivano dal teatro, che davano ampio spazio alla mia immaginazione – aggiunge Allegretta. “Poi da piccoli facevamo delle scenette e, inoltre, io ero molto bravo nel raccontare le barzellette. Il mio amico Peppe Natale lo aveva notato e perciò mi propose di iniziare a fare teatro. Io non avevo mai lontanamente pensato di poter recitare. Quindi posso dire che le mie due passioni, la musica ed il teatro, erano entrambe in embrione e poi sono uscite fuori in maniera naturale: prima la musica e poi il teatro”. La prima commedia che interpreta è “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo e poi non si è mai più fermato. Dal teatro popolare della tradizione partenopea al teatro contemporaneo e sperimentale di autori italiani e non solo. Nel 1986, al Comunale di Caserta, con la cooperativa teatrale “Lo Specchio D’argento”, va in scena “Prova Generale” per la regia di Tonino Marchesino e Mimmo Di Dio. Il volto in chiaroscuro di Mario Allegretta campeggia nel manifesto in stile “Shining”.
“Il primo strumento musicale che ho suonato sono le percussioni” – ricorda.  “Utilizzavo gli attrezzi da cucina per simulare una batteria. Poi ho cominciato a cantare e a suonare la chitarra. C’era un amico di mio padre che lasciava spesso a casa una vecchia chitarra e io ne approfittavo per prendere confidenza con lo strumento. Mio fratello Antonio propose ai miei genitori, vista la mia predisposizione alla musica, di mandarmi a lezioni di chitarra. Il mio primo maestro è stato un signore anziano, si chiamava Luigi Speranza ed abitava in via Marchesiello, nei pressi della vecchia sede dei carabinieri. In seguito sono stato soprattutto autodidatta.”

Vennero poi gli anni ’60 e l’esperienza delle band musicali e con un gruppo di amici si diede vita a “I Supersonici”. Era una band di sei elementi: oltre a Mario Allegretta alla chitarra, c’erano Federico Scialla alla batteria, Emilio Trotta (di Caserta) all’organo, Carlo Ventriglia alla voce, Salvatore Costanzo alla chitarra, e Giuseppe Rivellini al basso. Quando decisero di incidere i loro primi dischi, i responsabili della casa discografica (la EMG che aveva sede in Via San Sebastiano a Napoli), dato che esisteva già un gruppo napoletano con il loro stesso nome, consigliarono di cambiarlo in “Radical 36”. La ragione sta nel fatto che la radice quadrata di 36 dà come risultato 6, che era proprio il numero dei componenti del gruppo. Incisero tre 45 giri con canzoni che divennero la colonna sonora della gioventù marcianisana alla fine degli anni ’60. “Si che esiste l’amore”, “Tra le rose c’è un bel fiore” (scritta da Silvio Ronca), “Ritornerò” (Del Piazzo-Vezil), “Io vado sul monte”.
“Loro erano tutti studenti – ricorda Mario Allegretta – ed io ero appena tornato dal servizio militare. Mi chiesero di aggiungermi al gruppo. Ci esibivamo nei Mak P, ai concertini di capodanno e anche qualche festa di piazza. Questa esperienza è durata all’incirca due anni, poi ognuno prese la sua strada lavorativa”.

Mario Allegretta nella sua carriera artistica ha ricevuto alcuni premi: una targa nel 2011, per la sua decennale attività artistica ricevuta dal Comune di Marcianise e, nel 2015, al Palazzo delle Arti di Napoli, ai G Awards come attore non protagonista per il film “I fiori dell’Innocenza” diretto da suo nipote Simon Allegretta. “Quando decisero di assegnarmi il premio del 2011, dopo lo spettacolo in cui lessi e interpretai le ultime lettere di Vincent Van Gogh – racconta – chiesi il microfono e dissi: sono stato fortunato, perché questi riconoscimenti di solito li consegnano “aropp’ muort’” – provocando così l’ilarità del pubblico. “Anche alla consegna dell’altro premio, a Napoli, improvvisai un piccolo siparietto ed il pubblico fu molto divertito”.

Nel 2018 è stato protagonista di una mostra fotografica, con i suggestivi scatti artistici di Salvatore Romano, dal titolo “Ed è subito follia” presso il Bistrat di Marcianise. C’è il tempo anche per spiegare la genesi di “L’Omm’”, una breve performance che molto spesso chiedono a Mario di interpretare: “Dovevamo preparare una musicassetta per un amico, una cosa così per ridere. Improvvisammo molti pezzi tra cui venne fuori anche “L’Omm”. La prima volta la feci ad un matrimonio. Lo sposo mi chiese di preparare qualcosa, ma io l’avevo già pronta. Quando arrivai all’epilogo con l’ingiuria, lui sbiancò, si mise le mani nei capelli e si pentì subito di avermela chiesta”.

Alessandro Tartaglione

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