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Cappella di Sant’Antonio a Capodrise: l’Associazione Horus si mobilita per raccogliere i fondi da destinare al restauro [Guarda il Video]

L’Associazione Horus si mobilita per raccogliere i fondi da destinare al restauro della Cappella di Sant’Antonio (o di Sant’Antuono) a #Capodrise. All’interno della stessa si trovano una serie di affreschi di straordinaria fattezza e bellezza, minacciati quotidianamente dall’umidità. Situata nella zona antica della città, la Cappella di Sant’Antonio viene menzionata per la prima volta in un documento del 1482 e apparteneva alla Famiglia dei De Filippo. Per chi volesse fare una donazione ecco l’Iban: IT93Q07601149000044581641

La chiesa di S. Antonio Abate, piccolo ma prezioso monumento, è di pertinenza della parrocchia dell’Immacolata Concezione. Essa sorge nell’omonima piazza del centro antico, che si apre tra la vecchia strada Oliva, oggi via Giannini e la via chiamata luogo delle botteghe, oggi via Jenco. L’edificio religioso, nel 1482, era di proprietà della famiglia De Filippo; successivamente, fu usato come luogo di riunione dagli eletti dell’Università del feudo di Acerra di cui Capodrise faceva parte, come risulta da un documento dell’inizio del settecento, nel quale, tra l’altro, è riportato il nome del Comune nella forma di “Capitrise”. Nel corso della prima metà del Settecento, fu interdetta dal vescovo Falangola, perché era in uno stato miserevole, tanto da far ordinare il rifacimento dell’altare, del pavimento, la dipintura delle pareti e tutte le suppellettili sacre. Fortunatamente, queste disposizioni non furono portate a termine, tanto che, dopo dieci anni, il vescovo Albertini, riteneva la cappella particolarmente misera e per nulla completata, malgrado i precedenti decreti; ordinava, pertanto, di colorare le immagini laterali e di imbiancare le pareti, pena un’ammenda da dare ai poveri. Nella prima metà del Novecento, era definita oratorio pubblico e descritta in cattivo stato; si proponeva, pertanto, il restauro. L’uso della cappella era limitato alla sola ricorrenza della festività del santo patrono, il 17 gennaio, celebrato con una messa cantata a spese dei devoti. Inizialmente era rinchiusa, in parte, nel perimetro delle mura di proprietà Guidetti; abbattute, però, le stesse nell’immediato dopoguerra, la piccola chiesa apparve in tutta la sua volumetria. In seguito al terremoto del 1980, che causò ulteriori danni all’edificio religioso, si procedette all’inizio dei lavori di progettazione del restauro delle strutture architettoniche e degli affreschi che affioravano, in parte, dagli strati di pittura caduti. I lavori di restauro furono completati nel 1990, ad opera dell’architetto A. Benvenuto di Caserta e del restauratore dei dipinti G. Maietta. L’architettura tardo- gotica, è ravvisabile sia nella copertura a volta ad ogiva che nelle quattro piccole finestre strombate, concluse con archi acuti. Le dimensioni dell’edificio sono molto ridotte: la larghezza è pari a mt. 5,10; la lunghezza a mt. 7.80; l’altezza massima della volta è pari a mt. 6,00. Non c’è simmetria tra il vano ecclesiale e l’abside; inoltre, la presenza in facciata di un arco corrispondente all’asse dell’abside, dimostrano che l’attuale chiesa è una modifica di un edificio antico, precedente all’attuale. D’altra parte, il restauro recente ha evidenziato, oltre al doppio arco d’ingresso, i pregevoli affreschi databili ad un periodo che oscilla tra il XIV e il XVI secolo. Gli affreschi, che fanno parte di un ciclo pittorico non omogeneo, riproducono scene di soggetto diverso o santi senza una tematica unitaria. Essi, tra l’altro, riproducono la Madonna in trono con il Figlio sulle ginocchia, tra i santi Antuono e Giovanni Evangelista, con ai loro piedi i donatori; al di sotto della raffigurazione della Madonna in trono con il Figlio sulle ginocchia, è la data del 1512. Altrove, sono raffigurati la Madonna delle Grazie e ancora Sant’Antuono; l’intera figura di quest’ultimo è irrecuperabile, anche perché tagliato da una nicchia. Tra gli affreschi è raffigurato anche un San Giorgio, con armatura scura, su di un cavallo bianco che uccide un drago; tale santo è eccezionale per la nostra area culturale, poiché è da ricollegare allo stile cortese dell’inizio del Quattrocento angioino, dove le influenze nordiche sono filtrate dalla cultura napoletana; la raffigurazione del santo ha il valore simbolico di un mondo raffinato in contrapposizione al disordine del tempo; con tale raffigurazione il committente sottolineava la sua appartenenza ad una classe privilegiata. In generale, l’iconografia risulta essere tipicamente trecentesca. Al centro del pavimento si conserva una lapide con le armi scolpite della famiglia De Filippo, datata al 1611.

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Alfonso Alberico - Marcianise

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