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Perché investire è un ‘dovere’? | di Vincenzo Delle Curti

Il 30% del totale della ricchezza degli italiani giace su conti correnti e libretti di risparmio. Tradotto in soldoni, parliamo di 1.500 miliardi di euro di risparmi infruttiferi, che le famiglie italiane non investono per motivi principalmente legati ad un’eccessiva avversione al rischio e ad una carente cultura finanziaria. Di questi millecinquecento miliardi di euro, la maggior parte sono di fatto fermi per paura o per incertezze legate al futuro. Li si tiene lì, per imprevisti che nella maggior parte dei casi non accadranno mai oppure semplicemente perché non si ha idea o coscienza di cosa farne. Mantenere una parte di liquidità per soddisfare le nostre esigenze di breve termine può essere una scelta tanto naturale quanto saggia, ma mantenerne in eccesso senza motivi ben precisi è senza dubbio una “non scelta” alla quale conseguono costi ed, in alcuni casi, anche rischi.

Partiamo da questa considerazione: non investire equivale già a perdere. Perché?
Perché dobbiamo, prima di tutto, fare i conti con l’inflazione, i cui effetti, seppur in Italia abbiano raggiunto negli ultimi anni valori minimi se non negativi, nel medio-lungo erodono inesorabilmente il potere d’acquisto del nostro denaro. Infatti, lasciando i nostri risparmi parcheggiati su conti correnti e libretti di risparmio infruttiferi non potremo far altro che osservarne inermi la perdita del valore reale. In pratica, quelle stesse cose che riusciamo ad acquistare oggi con diecimila euro non le riusciremo ad acquistare tra qualche anno per effetto dell’aumento dei prezzi. Facendo un semplice esercizio di matematica finanziaria e fissando un’inflazione annua media al 2% (obiettivo di equilibrio fissato dalla Banca Centrale Europea), dopo 20 anni i nostri diecimila euro avranno subito un calo di potere d’acquisto pari ad un terzo. Nel 2037, con 10.000 euro acquisteremo cose che oggi prezzano 6.670 euro.

Inoltre, la liquidità parcheggiata sui conti correnti non è adatta a soddisfare i nostri obiettivi di accumulare risparmio, men che meno a raggiungere i nostri obiettivi di vita. Perché? Perché così facendo, negheremmo ai nostri soldi la possibilità di incrementare il loro valore grazie ai rendimenti medi annui delle attività disponibili sui mercati finanziari, allo stesso modo e con gli stessi tempi in cui non li investiremmo in un’attività economica d’impresa. Per far ciò, ovviamente, ci vuole pianificazione, strategia, metodo e consapevolezza. E’ in questa fase che entrano in gioco diversi fattori.
Prima di tutto è opportuno tenere ben in mente i principi fondamentali di un corretto investimento:

  • Investire per obiettivi temporali;
  • Diversificare gli investimenti per tipologia di strumento, mercato ed area geografica;
  • Non perdere di vista il rapporto rischio/rendimento.

I tre punti in precedenza elencati, sono in stretta connessione tra di loro ed assumono tutti la stessa importanza. In generale, più l’orizzonte temporale è ampio perché il nostro obiettivo è lontano nel tempo, più possiamo permetterci di avere un rapporto rischio rendimento alto.  Questo concetto è molto importante in quanto ci permette di determinare e suddividere in parti diverse in nostro patrimonio e di utilizzare ognuna per specifici obiettivi di vita, ciascuno lontano ‘ics’ anni da oggi.

Partendo con questi paletti ben chiari e definiti, sarà lo stesso investitore a determinare, in base ai propri obiettivi ed al tempo, per quanta parte dei suoi risparmi è disposto, ad esempio, a costruire una strategia con un rapporto rendimento/rischio basso, medio o alto. Ad esempio, chi 20 anni fa ha deciso di iniziare ad investire una parte del proprio patrimonio nei mercati azionari mondiali con l’obiettivo di utilizzare il capitale alla scadenza temporale prefissata per l’istruzione dei propri figli, ha visto il suo capitale quasi quadruplicarsi. Fin qui sembra tutto fin troppo facile. Ecco che però entra in gioco il nemico numero uno degli investitori: l’emotività.

Non è l’oscillazione in sé dei prezzi dei beni o dei titoli in cui si è investito (volatilità) il vero nemico dell’investitore, ma è la sua reazione ed il suo grado di sopportazione emotiva a tale oscillazione.
Più il rapporto rischio/rendimento è alto, più queste oscillazioni sono ampie, più le nostre emozioni sono stimolate e, di conseguenza, più alta è la probabilità che possiamo commettere errori di comportamento durante il viaggio temporale che ci dovrebbe condurre all’obiettivo prefissato. Spesso, a causa della nostra emotività ed in particolare della “paura di perdere o di non guadagnare” commettiamo il più classico tra gli errori (bias comportamentali) del piccolo investitore, quello che va contro ogni principio del commercio: vendere a prezzi bassi ed acquistare a prezzi alti. In realtà dovrebbe essere l’esatto contrario.

Ecco perché investire con cognizione di causa deve essere un dovere di ogni buon padre di famiglia, non una forzatura. Acquisendo consapevolezza si ha la capacità di autodeterminare le dosi corrette di capitale da utilizzare per portare a compimento i progetti di vita personali o familiari. Tutti siamo in grado di porci obiettivi di vita in relazione alla nostra età ed al nostro status quo, ma se vogliamo avere successo negli investimenti, dobbiamo sforzarci a perseguire e raggiungere questi obiettivi, pianificandoli in armonia con la propria tolleranza al rischio, senza però farci condizionare troppo lungo il cammino dalle nostre effimere emozioni, le quali, altrimenti, finirebbero per condurci su strade più tortuose.

Vincenzo Delle Curti
cell. 339 678 10 90
mail: vincenzo.dellecurti@pfafineco.it

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