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Alberto D’Anna, un fuoriclasse della batteria jazz, nel 1° anniversario della sua scomparsa | di Pasquale Gentile

“Il primo tamburo che abbiamo è nel nostro petto – ha scritto Tullio De Piscopo nel suo recente libro autobiografico “Tempo! La mia vita!” (Hoepli, 2014) – il suo tumf-tumf è la nostra stessa vita, non si limita a darle il ritmo. Sarà per questo che quando una batteria comincia a suonare, cose ancestrali si muovono nel nostro inconscio”. Un anno fa, il 9 gennaio 2015, un pregiato tamburo ha smesso di suonare la sua musica, quello del batterista Alberto D’Anna, quel tumf-tumf che per 52 anni ha fatto vibrare le membrane del suo cuore, si è fermato per sempre. Ma non la sua musica, nè la sua classe sopraffina, assolutamente no, esse vivranno saecula saeculorum. “Alberto D’Anna deve essere ricordato come uno dei più grandi batteristi di tutti i tempi – ha detto Salvatore Tranchini, suo collega di tamburi e amico di vecchia data – la mia generazione (e non solo) gli deve tanto. Ci ha ispirato, è stato un buon esempio. Tullio (De Piscopo) e Alfredo (Golino) sono andati via troppo presto e tutti noi non abbiamo potuto “frequentarli” se non attraverso dischi e concerti. Alberto è stato fra noi, uno di noi. E’ stato un innovatore, tecnicamente fantastico. Studiavamo insieme da Scotti e già allora, poco più che un ragazzo, mostrava numeri da fuoriclasse. Il suo enorme talento ci spingeva a dare il meglio e al suo cospetto era difficile non sfigurare”. “Al tempo dei corsi con il M° Scotti – ha ricordato Enrico Del Gaudio – lui era il nostro mito. Un faro.” Giova ricordare, per chi non lo sapesse, che il Maestro Valter Scotti è considerato da tutti come uno dei più grandi maestri di batteria che l’Italia abbia mai avuto dal dopoguerra ad oggi; generazioni e generazioni di batteristi, diventati poi famosi, hanno riconosciuto l’importanza degli insegnamenti e il debito nei suoi confronti. Anche Stefano Tatafiore è stato allievo del Maestro Valter Scotti, e ricorda Alberto D’Anna come “un uomo dolce e fragile nascosto dietro un carattere da lupo. Colto intelligente e studioso, portò la tecnica dello strumento a livelli irrangiungibili. Quando arrivava dal Maestro Valter Scotti ci esaltava eseguendo il 4-Way Coordination a velocità doppia rispetto a chiunque altro, con potenza, precisione, fluidità e relax. Aveva il dono della sintesi e il dialogo con lui terminava con poche sommesse, ma profonde parole. Quando voleva mostrarti affetto lo faceva usando un’arguta ironia e un timido sorriso. Batterista eccelso, unico e personale. Insostituibile, lascia un vuoto che mi spaventa”. Anche il batterista Claudio Romano ha dei ricordi da aggiungere a questi: “Alberto e io eravamo entrambi allievi di Valter Scotti, è stato secondo me forse l’unico pioniere dello strumento della mia generazione. Ricordo le sane litigate che facevamo perché lui era un fan sfegatato di Erskine ed io di Gadd. Un musicista come lui avrebbe dovuto vivere in America”. Una delle figure più importanti conosciute da Alberto D’anna agli inizi della sua carriera è stato il critico e musicologo casertano Gianfranco Salvatore che nel suo libro “Avion Travel – Vivo di canzoni” (Ed.Giunti, 1999), ricorda come nei primi anni Ottanta il gruppo da poco costituito, aveva difficoltà a trovare un batterista all’altezza e l’entrata di Alberto al posto di Sergio Buzzone, venne salutata con grande enfasi dagli altri musicisti, i quali lo vedevano come “…una specie di enfant prodige che suonava da quando aveva dodici anni e a venti già possedeva una tecnica straordinaria. Beppe (D’Argenzio) lo prelevò dal quartetto jazz che aveva con Gianpiero Mercaldo, e Gianfranco (Salvatore) ne fu entusiasta. Sulla perizia del nuovo arrivato, in grado di eseguire all’istante le figure ritmiche più complesse, il gruppo si gettò come su un nuovo meraviglioso giocattolo. Gianfranco in particolare lo torturava. Era diventato la sua batteria elettronica: “adesso suona la cassa in due, il rullante in tre con una quintina sulla clausola, il charleston in sedicesimi, però accenta il quarto il settimo e il quindicesimo, a proposito, dove potremmo piazzare un colpo sul crash?”. Alberto era giovane e rispettoso, specie verso chi si intendeva di jazz, e sopportava pazientemente, eseguendo e perfezionando. Gli arrangiamenti si fecero sempre più frizzanti, la band cominciava a macinare come un bel trenino elettrico”. Il sodalizio con gli Avion Travel però non durò tanto perché Alberto cominciò a proporre ritmiche molto elaborate (era anche un fan di Bill Bruford, batterista degli Yes e dei King Krimson) e ciò diventò un problema per la stabilità ritmica del gruppo, finchè un giorno decise di lasciare definitivamente il gruppo. Cosa che poco prima aveva fatto anche Gianfranco Salvatore, fino allora mentore e produttore degli Avion Travel, trasferendosi poi a Roma. Alberto D’Anna, come dirà lo stesso Salvatore, “dopo l’esperienza con il gruppo casertano, si metterà in luce nella breve ma luminosa stagione della fusion italiana, con i Phoenix di Lello Panico (nel disco “Fronne” c’è anche Gianfranco Salvatore al sintetizzatore e drum machine), e poi addirittura sostituendo Roberto Gatto nel gruppo Lingomania, la formazione che negli anni ’80 fu il faro del jazz elettrico nazionale, dando dei punti anche a quello europeo”. Per la grande soddisfazione dei “lingomaniaci”, che vedevano nella new entry marcianisana, un inalterato equilibrio del gruppo, come si può ascoltare dal disco “Camminando” (Ed.Gala, 1988), confermando così la brillante esperienza del gruppo, iniziata nei primi anni Ottanta. Da quel momento si trasferirà a Roma, affermandosi come uno dei migliori batteristi italiani e collaborando con molti fuoriclasse americani. A Roma portò con sé anche altre importanti esperienze musicali maturate tra il 1984 e il 1988, con il gruppo Napoli Centrale di James Senese, con il percussionista Tony Esposito, oltre alla partecipazione al fortunato spettacolo televisivo “Indietro Tutta” di Renzo Arbore. “Lo conoscevo sin dagli anni ’80 – ricorda il batterista Leonardo Di Lorenzo – e quando potevo lo andavo ad ascoltare, qualunque fosse il tipo di musica. Ricordo diversi concerti di Tony Esposito, seguiti perché c’era lui alla batteria. Credo sia stato un modello da imitare per molti di noi della mia generazione. Aveva tutto, suono bello, balance sempre perfetto, coordinazione sicura”. Gli anni ’90 sono cruciali per la carriera di Alberto D’Anna, in particolare a partire dalla seconda metà del decennio, per lo sviluppo della sua idea musicale, dalla quale poi nascerà il suo caratteristico stile batteristico; le richieste di collaborazioni che gli arrivano da altri musicisti e gruppi si moltiplicano, ma sono in particolare due i progetti musicali significativi per la sua crescita artistica, quello in quintetto con Antonello Salis (p. e fis.), Danilo Terenzi (tr.ne), Sandro Satta (alto sax) e Riccardo Lay (cb.), dal 1990 al 1993, e poi con la Tankio Band del pianista Riccardo Fassi, dal 1993 al 1995, con il quale registrerà diversi dischi, tra i quali “Plays the music of Frank Zappa (Splash Records, 1995), uno dei miei preferiti. Nel contempo, Alberto comincia a dedicarsi con costante impegno, allo studio e allo sviluppo della sua idea musicale basata su poliritmie africane, di cui ha lasciato un’ importante eredità che, secondo Luca Luciano, critico e addetto ai lavori del mensile specializzato “Drumset Mag”, “…bisogna assolutamente recuperare”, insieme allo stile batteristico da lui elaborato, veloce ed antiritmico, noto come ritmo zoppo o “Aksak”, titolo immortalato tra l’altro in una storica e unica incisione in veste di leader, che Alberto D’Anna realizzò nel 1996 per l’etichetta Splash Records, a capo di un sestetto formato da Roberto Ottini (sax bar.), Sandro Satta (sax alto), Dario La Penna (chit.), Francesco Puglisi (cb.), Stefano Cantarano (cb.). L’idea-base del progetto musicale di Alberto D’anna era stata quella di inserire alcune ritmiche africane applicate al drum set, in composizioni originali e standards jazzistici, in particolare quei ritmi provenienti dall’ Africa dell’Ovest e del Centro, come il Sikyi (Ashanti ), L’Atsia (Ewe ), lo Zoboko (Pigmei), L’Adowa (Ashanti) ecc., con una sua personalissima interpretazione. Tale interesse era stato poi successivamente approfondito con gli studi in etnomusicologia intrapresi all’Università La Sapienza di Roma, dove si era laureato, con il massimo dei voti, con il Prof. Francesco Giannattasio. Il progetto musicale di Alberto D’Anna fu portato avanti prima all’insegna dell’Ethno jazz trio, a cavallo del nuovo millennio, poi con l’Aksak trio, a partire dal 2004, alternando di volta in volta vari jazzisti, tra i quali Lello Petrarca (p.), Alessandro Tedesco (tr.ne), Marco De Tilla (cb.), Giovanni Amato (tr.), Roberto Schiano (tr.ne) ed altri ancora. “Durante i concerti – ha ricordato Marco De Tilla – Alberto era solito suonare uno o due brani di batteria solo, durante i quali solo con il suo strumento riusciva ad esprimere un’idea completa di brano. Infatti riusciva a creare una ritmica di base sulla quale aggiungeva poi una struttura in un certo senso “melodica”, definita da intro, tema, improvvisazione e tema finale. Sembrava di sentire un’orchestra di percussionisti africani che suonano uno standard ben arrangiato”. Ci sarebbero tantissime altre cose da raccontare sul musicista Alberto D’Anna, della sua intensa vita artistica, ultratrentennale, vissuta tra Napoli e Roma e poi a Milano fino ad arrivare a Boston, ma l’ultima testimonianza di questo sentito omaggio, l’ affidiamo alle parole che all’indomani della sua scomparsa espresse il Sindaco Achille De Angelis: “Con la sua prematura morte, scompare un talento, un’eccellenza del nostro territorio, che ha dedicato molta parte della sua vita alla musica. La continua ricerca, l’armonizzazione dei diversi stili, la mirabile commistione di tecnica e poesia, che ne hanno caratterizzato il profilo artistico, e che ha trasposto nelle sue composizioni, il ricordo delle straordinarie collaborazioni che ha vantato negli anni di carriera sono il patrimonio che Alberto ci lascia in eredità. Sempre cara in noi resterà la sua memoria, così come forte è la consapevolezza che un artista in realtà non muore mai, ma continua a vivere attraverso le sue opere”. Pax tibi, Alberto. [di Pasquale Gentile]

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Alfonso Alberico - Marcianise

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