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“The throw” il quartetto all jazz stars di Erik Friedlander in concerto ad Aversa

Breve inciso: a molti, soprattutto ai neofiti,  il violoncello potrà sembrare uno strumento abbastanza estraneo al mondo del jazz, collegandolo direttamente alla tradizione della musica accademica, e ci può stare, ma andando a sbirciare negli annali della storia del jazz, scopriamo che molte pagine musicali ci dicono esattamente il contrario. E cioè che, ad esempio, il violoncello è stato il secondo strumento di molti bassisti del secolo scorso che hanno fatto la storia del jazz, come Oscar Pettiford, uno dei pionieri del Bebop assieme a Charlie Parker, oppure di Ron Carter, quando agli inizi degli anni ’60 suonava con il pianista Mal Waldron e il sassofonista Eric Dolphy, o ancora in piena epoca free-jazz  Abdul Wadud, nelle formazioni del batterista Chico Hamilton, per andare poi negli anni ’80 con il violoncellista Hank Roberts che suonava nella band di Bill Frisell e negli anni ’90, quando nel quintetto del trombettista Dave Douglas, si faceva strada il nostro Erik Friadlander. Che ad Aversa approda per la seconda volta, sempre ingaggiato dal Jazz Club Lennie Tristano, a distanza di  ventuno anni, esattamente il 9 aprile 2001; allora il concerto ebbe luogo al Cinema Teatro Vittoria (c’ero anch’io!) e con lui suonavano i Topaz, ossia Satoshi Takeishi alle percussioni, Andy Lester al sax alto e Stomu Takeishi al basso; mentre il 7 novembre prossimo  il violoncellista newyorkese suonerà al Teatro Cimarosa di Aversa, inizio alle ore 21.00, con l’attuale gruppo “The Throw”, formato da tre stelle del jazz contemporaneo, ovvero Uri Caine al piano, Mark Helias al basso, Chess Smith alla batteria. I quattro musicisti sono insieme da circa sette anni, da quando cioè furono invitati a sonorizzare una mostra di Pablo Picasso al MOMA di New York a metà del decennio scorso, una mostra di sei sculture bronzee, sei versioni decorate di un bicchiere d’assenzio, un distillato ad alta gradazione alcolica all’aroma di anice, derivato da erbe varie, fiori e foglie dell’assenzio maggiore, cioè l’Artemisia, che si diffuse in Francia a fine ‘800 tra gli artisti bohémien e che agli inizi del ‘900 influenzò la vita di molti altri artisti. Ma veniamo al concerto di lunedì prossimo 7 novembre al Teatro                       Cimarosa  di Aversa:  l’attuale gruppo “The Trow” ha proposto fino ad oggi una musica a dir poco impressionante, tant’è lo spirito d’avventura che li caratterizza, in virtù del know-how musicale di Eric Friedlander, intriso di un  rock più avanzato, di musica da camera contemporanea e di fascinazione jazz, che si amalgama con il possente tocco e il brillante drive del pianista Uri Caine, a cui si aggiunge la poliedrica maestria tecnica del bassista Mark Helias, nonché prolifico compositore, oltre al virtuosismo e alla creatività percussiva del batterista Ches Smith. Un interplay assolutamente da ascoltare per credere!

(info: 3393467387- email: jazzclublennietristanoaversa@gmail.com )

Questo quartetto è nato per sonorizzare una mostra al MOMA di New York su sei sculture di Pablo Picasso (sei bicchieri d’assenzio): l’appuntamento non può che essere al Piacenza Jazz Fest 2020.

L’IDEA DI FONDO
Parte da una riflessione sul ruolo dell’assenzio nella vita di molti artisti di inizio Novecento e prende spunto da una mostra allestita al Moma di New York attorno a sei sculture bronzee di Pablo Picasso del 1914, sei versioni decorate di un bicchiere di assenzio. Le musiche nate da quello stimolo visuale descrivono un articolato spettro di sensazioni, passando da pagine jazzistiche multitematiche a oasi meditative e solenni, da distese elegie liriche a tumultuose rincorse di stampo balcanico e klezmer.

E’ stata anche una voce caratteristica delle innovative formazioni di Chico Hamilton, con Abdul Wadud ha attraversato anche il free più infuocato. Nessuno stupore quindi quando a metà degli anni ’90 un giovane Dave Douglas si impose all’attenzione con il bel ‘Five’ (un disco Soul Note, en passant) in cui era accompagnato da una piccola formazione di archi in cui si notava la personale voce di un violoncellista: era Erik Fredlander.

Al contrario di altre biografie jazzistiche, la sua non conosce precoci ed inesorabili vocazioni creative, né un percorso lineare e routinario: giovanili e mai dismesse frequentazioni con il mondo del rock più avanzato si alternano con una costante milizia negli ambienti del camerismo contemporaneo, ma alla fine si fa strada anche la fascinazione del jazz, abbordato però per vie traverse (il milieu Zorn/Tzadik, Myra Melford) sino ad approdare come si è detto agli originali gruppi di Douglas ed alla leadership in proprio.
Il Jazz Club Ferrara e Crossroads ci hanno proposto al Torrione l’attuale quartetto di Friedlander, che a dispetto di un organico veramente impressionante (Uri Caine al piano, Mark Helias al basso e Ches Smith alla batteria) non ha avuto l’attenzione che meritava, forse anche a causa della ristretta diffusione del loro ultimo disco, “Artemisia” (ah, le autoproduzioni….. mah!). Comunque la tournee europea con alcune (poche) date italiane ha in parte rimediato, proponendo dal vivo prevalentemente i materiali del disco.
Il primo colpo d’occhio sul palco rivelava una disposizione del quartetto forse non occasionale e dettata da contingenze pratiche: all’estrema destra il violoncello di Friedlander ed il basso di Helias, al centro la batteria di Smith ed all’estrema sinistra il piano di Caine. Il concerto si è aperto con ‘First Step’, una nuova composizione in cui Friedlander ha esordito con un assolo all’archetto di sapore classiccheggiante e caratterizzato da una cavata potente e carica di pathos: registro poi rapidamente aggiustato dall’ingresso del resto del gruppo, cui il drumming secco e denso del ‘giovane’ Ches Smith dona una notevole solidità ed impatto. A sottolineare ulteriormente questi tratti della band si aggiungono gli interventi impetuosi e percussivi di Caine al piano, con microclusters che punteggiano talvolta dei riffs volutamente macchinali.

Il brillante ed irruente drive di Caine è forse l’elemento principale che fa discostare l’atmosfera di questo concerto da quella del disco da cui discende: è sembrato anche di cogliere una maggior propensione di Friedlander all’utilizzo dell’archetto, peraltro al servizio di un solismo che è sembrato più audace e dinamico di quello ascoltato in ‘Artemisia’, con occasionali suggestioni orientaleggianti che forse vengono dalle sue passate esperienze. Il pizzicato del cello ritorna però quando Friedlander intreccia dei serrati dialoghi, quasi dei duelli, con il basso di Helias, con cui sembra costruire a momenti una ‘sezione’ contrapposta alla potente energia percussiva della batteria di Ches Smith e del piano di Caine.
Ma lo spirito d’avventura che caratterizza la musica del gruppo non impedisce momenti di brio gioioso, come quello che pervade un brano dedicato all’illustre ‘collega’ Oscar Pettiford. Del resto la musica di Friedlander e dei suoi non perde mai freschezza e vivacità nemmeno nei molti passaggi audaci e nelle frequenti progressioni incalzanti innescate da Caine. Nonostante l’esuberanza e la personalità di quest’ultimo, le redini del gruppo rimangono sempre nella mano ferma di Friedlander, un leader che non esita a dare sul palco un secco stop ad un attacco che non lo soddisfa, facendolo ripetere senza tanti complimenti ai consumati e sperimentati veterani che lo affiancano, Caine in testa (sic!).
Il set procede attraverso il fluire di brani molto stimolanti e comunicativi, con passaggi di assieme molto ben congegnati, valga per tutti il dinoccolato ed elegante ‘Seven Heartbreaks’ che si può ascoltare anche sul CD. Scontata la risposta calda del pubblico del Torrione, che ottiene come bis un bel blues in cui Friedlander intreccia efficacemente il suo pizzicato con il basso di Helias che lo echeggia da vicino. Una bella lezione su come si possa fare musica innovativa e di ricerca senza pagare prezzi in termini di comunicativa, e per di più con un organico senz’altro alquanto originale ed insolito.

Il violoncellista Erik Friedlander rappresenta il musicista versatile per antonomasia. Figlio d’arte (il padre Lee è uno tra i maggiori fotografi, anche musicali, del nostro tempo), è cresciuto in una casa piena di musica. Ha iniziato a suonare la chitarra a 5 anni e il violoncello a 8. La sua preparazione è ad ampio raggio: formazione classica, passione per il jazz, r&b e post-avanguardie, Erik conta nel suo lungo curriculum esperienze a fianco di tutta la cerchia di New York dagli anni 90 in poi, ma anche di Courtney Love, Mike Patton e Laurie Anderson. Ha inciso almeno venti album come leader ed è applaudito come musicista-chiave in molti gruppi di John Zorn (Masada String Trio, Bar Kokhba), con cui ha lavorato a lungo e inciso molte opere importanti.
Il suo virtuosismo è tutto al servizio dell’espressività, sia in ambito cameristico tradizionale che in territori più sperimentali e astratti. Ha diretto il quartettoTopaz, il Broken Arm Trio, ed ha inciso notevoli album di cello solo come Maldoror, Block Ice and Propane, Illuminations.

Il progetto Throw a Glass è sicuramente quello più marcatamente jazz e documenta un album di composizioni assai ispirato, illuminato dal contributo straordinario di tre solisti di pregio quali Caine, Helias, Smith.
L’idea di fondo rielabora una riflessione sul ruolo dell’assenzio nella vita di molti artisti di inizio 900 e nasce da una mostra allestita al MOMA di New York attorno a sei sculture di Pablo Picasso, sei bicchieri di assenzio, per l’appunto. Sculture “affascinanti e pericolose nello stesso tempo”, come sottolinea Friedlander.
Le musiche nate da questo stimolo visuale descrivono un articolato spettro di sensazioni, volando da pagine jazzistiche multitematiche ad oasi meditative e solenni, da distese elegie liriche a tumultuose rincorse di stampo balcanico e klezmer.
Il disco contenente il repertorio di Throw a Glass si intitola Artemisia (una pianta da cui si estrae l’assenzio) ed è stato pubblicato in un prezioso box di tre vinili verdi a 10”, con disegni di Akino Kondoh e un libretto di 16 pagine (ma c’è anche il semplice cd singolo…).

Accanto a Friedlander, si diceva, tre musicisti di assoluta brillantezza.
Uri Caine è pianista e compositore tra i più noti nel circuito contemporaneo, leader di gruppi affermati e creatore di nuove interpretazioni di repertori classici, da Mahler a Beethoven, da Schumann a Verdi. Suona in duo con Dave Douglas, John Zorn, Han Bennink, Paolo Fresu.

Mark Helias è attivo dagli anni Settanta, leader di proprie formazioni come Open Loose, ma anche protagonista nel trio BassDrumBone, e bassista per Anthony Braxton, Franco D’Andrea, Dewey Redman e moltissimi altri.

Ches Smith è tra i più creativi percussionisti di questi anni. Leader del gruppo These Arches, suona nei gruppi di Tim Berne, con i Secret Chiefs e Xiu Xiu, nel Ceramic Dog di Marc Ribot, in duo con John Zorn. Fa parte del nuovo quartetto di Dave Holland, con Evan Parker e Craig Taborn.

Pasquale Gentile

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