Ci risiamo. Il BIG MaxiCinema di Marcianise strapieno in modo folle e meraviglioso, stavolta per “Il giorno più bello del mondo”, l’ultimo film di Alessandro Siani, storia di uno squattrinato impresario teatrale alle prese con un bambino dotato di poteri straordinari. “Si faceva fatica ad entrare nel parcheggio”, mi racconta un amico. “Persone di tutte le età riunite per un film come succede solo a Natale”, mi spiega un’altra amica. A conferma dell’enorme successo i 3 milioni di euro guadagnati ad oggi, che rendono la commedia il maggior incasso italiano del 2019 nel weekend d’apertura. È sempre una gioia per chi, come chi scrive, ama il cinema e il fascino insostituibile della sala, leggere di tali successi cinematografici. Ma, immediato, giunge il rammarico di fronte ad un quesito ormai ripetitivo ma sempre urgente: “perché queste invasioni di massa avvengono solo con certi film?”.
Non si crede più – e meno male – al solito “la gente vuole ridere”, che non spiegherebbe i successoni degli “Avengers” o del recente “Joker”, capaci di ricordarci che non solo Checco Zalone o cinepanettoni governano gli incassi (per di più solo a Natale). Né si crede al discorso “al cinema vincono le icone e i personaggi già noti”: comprensibile se si pensa al botto di nomi cult come Freddie Mercury o IT, meno chiaro se si pensa che altri nomi importanti come Elton John e i fratelli Romolo e Remo (i bellissimi “Rocketman” e “Il primo Re”) non hanno acchiappato lo stesso interesse. Si crede, invece, che i giovanissimi sono modaioli e seguono la massa, anzi, una certa Chiara Ferragni che prova a dettare le nuove regole del mercato filmico. Va bene (più o meno), purché si vada al cinema.
Ma le storie del tutto inedite? Non sembrano impressionare, seppur supportate da registi di fama o protagonisti celebri. Brad Pitt desta interesse se affiancato a un Tarantino che fa moda (“C’era una volta…a Hollywood”) e non se tutto solo se ne vola nello spazio (“Ad Astra”), opere premiatissime come “Martin Eden” o guidate da registi iconici come Pedro Almodóvar (“Dolor y Gloria”) pressoché snobbate e per quale ragione? Perché noiose? Come fa lo spettatore medio a sapere che un film sarà sgradito se prima non si informa un minimo su ciò che potrebbe perdersi? Questione di prezzo del biglietto? Eppure sconti e prezzi vantaggiosi se ne trovano sempre, a saper cercare. Quel che va constatato, dati nazionali alla mano, è che i bambini si confermano spettatori validi e accaniti. Merito di Spider Man, principesse Disney o Minions vari, certo. Capaci di creare una fidelizzazione che, con un po di fortuna, i pargoli di oggi si porteranno nei vent’anni che li attendono. E così, si spera, per sempre. Per il bene dell’industria cinematografica, naturalmente, ma anche di una collettività che dal cinema, quello fatto bene, può solo imparare a vivere sempre meglio.
Gabriele Russo