Il BIG MaxiCinema che vedo pieno di mercoledi pomeriggio come non capitava da Natale. Le persone che ne parlano infervorate in palestra o al bar con quella facilità con cui si parla di calcio o politica. Solo qualche esempio di testimonianza nostrana dello strabordante successo al botteghino di “Avengers: Endgame” (superato i 1.785 miliardi di dollari, ha battuto “Jurassic World” e ora minaccia di scavalcare pure quell’ ”Avatar” fermo a 2.788 miliardi), ultima, titanica impresa di Marvel Studios e diretta dai fratelli Russo. Un universo cinematografico senza precedenti (formato dalla bellezza di 22 film), quello che “Endgame” porta a compimento. Iniziato nel 2008 con “Iron Man”, consacrato nel 2012 con “The Avengers” e che ha preso a schiaffi gli snob finendo quest’anno alla Notte degli Oscar con “Black Panther”.
Quest’ultimo “Avengers” è un film bello, intenso, fondamentale per tutti gli appassionati di cinecomic, che è ormai genere cinematografico a tutti gli effetti, di cui anche gli attori più altisonanti, come Tilda Swinton o Robert Redford vogliono far parte. Un film che, e non è poco, sta spingendo anche chi di mitologia Marvel sa poco o nulla a far le corse per recuperare i film precedenti e che sta riunendo al buio delle sale persone di tutte le età e interessi.
Perché parla non solo di una squadra di supereroi (o di cosa significhi esserlo) che cerca di annullare le sconvolgenti azioni di Thanos nel precedente “Infinity War” (altro film bellissimo). Ma parla anche di sconfitte e di come farsi educare da esse, dell’importanza della pazienza e del sacrificio, di un incrollabile ottimismo e di come il sostegno degli amici sia sempre una base importante delle vite di tutti noi. Il film, forse il meno scatenato e fumettistico visto ad oggi, ha una carica drammatica che emoziona e, se si sta bene attenti, può davvero provare ad insegnarci qualcosa. Che poi è quello che ogni bel film dovrebbe fare.
Gabriele Russo
