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“Lo vuole fare sempre, Salvatore lo vuole fare sempre”. Autismo e scuola: parliamone | di Pasquale Giuliano

L’autismo è una sindrome comportamentale associata a un disturbo dello sviluppo neurobiologico che produce alterazioni nello sviluppo psico-cognitivo ed emotivo. L’esordio avviene, solitamente, prima dei tre anni di vita, il che significa che ad essere colpiti sono bambini in tenerissima età. Spesso, chi ne è affetto, non riesce ad interagire come tutti gli altri con le persone e l’ambiente che lo circonda. Per questo motivo, nell’immaginario comune, si crede che chi ne  soffre viva in “un mondo tutto suo”, un mondo ancora in parte sconosciuto alla scienza e alla società.

I disturbi dello spettro autistico (DSA) e l’autismo indicano, quindi, un gruppo complesso di patologie relative allo sviluppo cerebrale caratterizzati, a vari livelli, da difficoltà nelle interazioni sociali e nella comunicazione verbale e non verbale. I disturbi, dunque, non sono uniformi e conferiscono caratteristiche peculiari a queste persone: circa il 40% di chi ne soffre presenta capacità intellettive superiori alla media degli individui e molte di esse  vedono il mondo in maniera “atipica” e del tutto particolare.

Come spiega ‘Autism Speaks’ “negli ultimi cinque anni, gli scienziati hanno individuato una serie di mutazio-ni genetiche rare, associate all’autismo”. Un piccolo numero di queste sono sufficienti a causare l’autismo da sole. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la sindrome sembra essere determinata da una combinazione di geni legati al rischio di autismo e da fattori ambientali che influenzano il primo sviluppo cerebrale. Si ipotizza, addirittura, che ciò possa avvenire già nella fase prenatale. Quello che più spaventa di questa sindrome è che su di essa non ci siano certezze. Né sulle cause, né sui dati, né sulle terapie, né tanto meno sull’assistenza e sulle risposte da dare a chi ne è affetto e ai suoi familiari.

Nonostante l’assenza di dati certi, molti esperti sono concordi nel sostenere che durante il corso degli ultimi 35 anni, il numero dei casi di sindrome si è impennato ovunque: sia perché è migliorata la capacità dei medici di riconoscerla e diagnosticarla, sia per via di componenti genetiche e epigenetiche. Secondo l’ultimo report del CDC (Centers for Disease Control and Prevention USA) i dati epidemiologici sull’autismo confermano l’incidenza di 1 su 68 ( dato riferito al 2014).

Facendo riferimento ad alcuni dati riportati qualche tempo fa dal quotidiano Repubblica, in Italia sarebbero 500mila le persone  affette da autismo, una cifra corrispondente a circa all’1% della popolazione. Fino al 18 agosto del 2015, l’autismo esisteva per la medicina, per la società, per la scienza, ma non per lo Stato Italiano. La legge 134 che lo riconosce e se ne occupa costituisce certo un passo avanti ma non ancora abbastanza, perché, nel tempo,  richiederà sicuramente opportuni  adeguamenti.

Un allievo con bisogni tanto speciali e particolari come quello affetto da disturbo autistico può trovare nella scuola un ambiente idoneo per il suo sviluppo e per la sua integrazione sociale?

La domanda introduce il lavoro del prof. Lucio Cottini dell’Università di Udine (IL DENTRO E IL FUORI DELL’INTEGRAZIONE OVVERO LA DIFFICILE PRESENZA DELL’ALLIEVO CON AUTISMO IN CLASSE). Il professore in quattro punti chiave declina le regole fondamentali  per la buona riuscita di qualsiasi intervento inclusivo: – programmare congiuntamente -organizzare adeguatamente -fare riferimento ad una didattica speciale di qualità-coinvolgere attivamente i compagni nella gestione dell’integrazione scolastica dell’allievo autistico. Parlare di integrazione possibile, (aggiunge l’autore) naturalmente, non significa pensare ad una scuola organizzata in maniera tradizionale, sempre uguale a se stessa; al contrario, il processo di inclusione dell’allievo con autismo richiede una grande flessibilità e porta a ritenere che niente possa rimanere com’era.

Una sindrome di tale importanza demografica non poteva, certamente, lasciare indifferente la  Scuola direttamente coinvolta nell’inclusione di tutti i suoi alunni.

Già da alcuni anni il MIUR , oltre a diramare opportune linee guida redatte dall’ISS, in regime di convenzione con varie Università, ha istituito Master e Corsi di Perfezionamento rivolti agli insegnanti all’interno dei quali vengono illustrati vari aspetti  dell’autismo e  prospettate alcune possibili strategie. Simili esperienze non possono, però, essere  esaustive.

Parlare dell’autismo, definirne le cause, gli effetti, le possibili strategie di interventi migliorativi è qualcosa, comunque, di arduo ma certamente possibile.

Altra cosa è  operare con ragazzi in età preadolescenziale con danni aggravati dall’avanzamento dell’età, fisicamente sviluppati, con energia mentale  e fisica tale  da mettere a dura prova, se non sopraffare agevolmente, chiunque con lui si trovi ad agire.

A ciò si aggiungono contesti scolastici all’interno dei quali si rapportano più persone , spesso, portatrici di interessi contrastanti  non sempre confacenti alle “sue” necessità ed una classe i cui componenti avanzano continuamente richieste che possono non essere in linea con quanto auspicato e predisposto.

In una situazione in cui le variabili possono continuamente cambiare e le azioni e le reazioni possono difficilmente essere prevedibili e controllabili, la scuola si trova ad operare senza possibilità di appello, fronteggiando quotidianamente quanto accade o può accadere.

Maggiormente complesso, è cimentarsi a capire cosa provino un soggetto autistico, i suoi genitori, i compagni, i docenti, o chiunque altro con lui si trovi ad interagire nel tentativo di accendere una empatia, una relazione umana.

Autismo raccontato:

In dieci “racconti”  raccolti tra colleghi ho voluto  provare ad immaginare non i fatti,( che sono realmente accaduti anche se nomi e luoghi non rispondono al vero) ma tentare di descrivere, verosimilmente, le sensazioni, le riflessioni, le aspettative,  le piccole gioie o le delusioni che accompagnano gli interlocutori nel tempo trascorso insieme nelle aule, negli spazi scolastici o nei luoghi comunque investiti nel corso dell’azione educativa svolta dalla scuola. Uno di essi  è riportato qui di  seguito.

“Lo vuole fare sempre, Salvatore lo vuole fare sempre.”

Siamo già tutti sul piazzale antistante la chiesa. Il vociare dei ragazzi anima da qualche minuto lo slargo. Il brulichio di persone da un gruppo all’altro rende difficoltosa la circolazione.

L’auto si accosta e si ferma in prossimità del marciapiede. Salvatore ne scende, elude la mamma e dirige velocemente verso di me. Mi raggiunge e mi afferra gridando: “Salvatore non vuole, non ci vuole andare!”.  E’ me che cerca, è a me che chiede aiuto, è in me che cerca la soluzione del suo problema. Dovrei sentirmi gratificata per questo. Ma, al momento, provo solo dolore per i suoi calci che continua a darmi ripetutamente sulle gambe. Mi sento impotente davanti a questa manifestazione. La mamma ci raggiunge, insieme proviamo a calmarlo. Io tralascio il dolore, lei l’imbarazzo che neanche le fa cogliere l’entità del male che sto provando. Dopo  qualche tempo entriamo in chiesa. Tutti sono già seduti, la funzione è già iniziata.

Lui si guarda attorno, osserva i lampadari pendere dal soffitto appesi ad una lunga catena; dipinti, statue, affreschi gli lanciano lunghe occhiate enigmatiche e lui sembra chiedersi: <<Perché non si muovono? Perché mi guardano?”. Tutti si alzano in piedi. “Chi sarà questo tuo spirito al quale si rivolgono in coro? Perché tutti si siedono e rimane in piedi solo quello che indossa quell’abito strano? E adesso perché tiene quel dischetto bianco tra le dita e tutti gli si avvicinano?” D’un tratto si alza, si avvia repentino verso il parroco, dà un colpo alla coppa che il prete tiene tra le mani, volano via le ostie. Sono sgomenta, cerco di scusarmi (io!) con il parroco il quale capisce e mi dice di non preoccuparmi.

Intorno il silenzio. La funzione riprende. Riesco a tornare nel banco, Salvatore mi siede accanto. Sento gli sguardi addosso. Lui mi prende le mani, mi guarda e mi dice: “Lo vuole fare sempre, Salvatore lo vuole fare sempre”. Più tardi, da sola, seduta in macchina, scoppio in un pianto irrefrenabile. Carminia – docente di sostegno –

Pasquale Giuliano

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