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Omicidio don Diana, il racconto del giornalista marcianisano Piero Rossano

Il 19 marzo del 1994, prima ancora della liturgia mattutina, don Giuseppe Diana fu ucciso con colpi di pistola sparati alla testa dal camorrista Giuseppe Quadrano, che lo affrontò a volto scoperto. Tra i primi a giungere sul luogo dell’omicidio Piero Rossano,giornalista marcianisano e attuale coordinatore della cronaca di Napoli al “Corriere del Mezzogiorno”. All’epoca Rossano lavorava per l’emittente “Teleluna”e per il suo lavoro di cronista aveva già avuto modo di conoscere don Diana. “Quando arrivammo nella chiesa di San Nicola di Bari il fatto era avvenuto dacirca un’ora. Sul posto c’era già tanta gente, dalle forze dell’ordine ai magistrati della Procura Distrettuale Antimafia. I genitori sopraggiunsero in un secondo momento. La scena fu toccante ed emozionò tutti. Quel giorno rividi Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio di poco prima e che già conoscevo” ha raccontato il giornalista. 

Ad Augusto Di Meo non è stato ancora riconosciuto lo status di testimone di giustizia, né di vittima della criminalità organizzata. La causa risiede nell’irretroattività delle leggi che disciplinano tali materie. Ennesimo caso di tecnicismo normativo che ostacola, più che tutelare. 

A sostegno di Di Meo circola in queste settimane la seguente petizione (clicca qui)

 Piero Rossano aveva conosciuto don Peppe Diana nel ’93, avendo sentito parlare del manifesto “Per amore del mio popolo non tacerò” che promosse proprio don Diana e che nel Natale precedente fu letto in tutte le parrocchie della forania di Casal di Principe. Un manifesto che rappresentava una denuncia contro camorra e malaffare e che invitava la popolazione a ribellarsi dal giogo della criminalità organizzata. 

Rossano ha poi raccontato: “Subito capii che si trattava di un personaggio scomodo per una certa cultura basata su sopraffazione e intimidazione. Nell’autunno del ’93, ricordo che era una mattina di sole, lo intervistammo presso la canonica della chiesa. Per raggiungere il luogo attraversammo la sagrestia di San Nicola e mai avrei immaginato di tornare negli stessi posti per l’omicidio di quel sacerdote. Ricordo che prima di accendere la telecamera chiacchierammo a lungo, del più e del meno. Sulla scia delle dichiarazioni che mi rilasciò, una volta tornato in redazione confidai al direttore che, a mio avviso, quel sacerdote mostrava un coraggio fuori dall’ordinario e che continuando così avrebbe finito con l’attirarsi addosso l’ira dei clan locali. E, d’altra parte, era già stato fatto oggetto diminacce ed intimidazioni. La sua era un’antimafia concreta, parlava di tutto senza timore. Dopo il nostro incontro, ebbi modo di sentirlo in seguito telefonicamente. Era sempre molto impegnato, dall’AGESCI all’Azione Cattolica. Nonostante fosse tra i preti più giovani della forania di Casal di Principe, era stimato e seguito da molti. L’allora vescovo di Caserta, monsignor Raffaele Nogaro, gli era molto legato. Il suo operato faceva rumore, lasciando il segno”.

Tina Raucci
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