Ricorre ad ottobre il mese della prevenzione contro il cancro al seno. Numerosi studi sostenuti dall’AIRC rivelano margini di ottimismo, in quanto il tasso di mortalità per le donne affette dalla malattia è in diminuzione. Il tumore al seno deriva dalla formazione di cellule maligne nelle ghiandole mammarie. Ad eccezione del carcinoma duttale e del carcinoma lobulare, non tutte le forme di cancro al seno sono invasive, ma potrebbero progressivamente divenirlo se non curate in tempo. Nell’auspicio che la prevenzione sia effettuata con costanza e scrupolosità, Caffè Procope ha voluto approfondire l’argomento con il prezioso contributo del dott. Gennaro Varletta, medico specialista in senologia.
Il tumore al seno è tra le principali cause di morte, per donne tra i 35 e i 50 anni. A cosa è dovuta la sua diffusione?
“La materia in cui ci stiamo addentrando implica statistiche e tecnicismi che per i non addetti ai lavori risulterebbe oltremodo tediosa e forse incomprensibile, per cui cercherò di rispondere alle domande usando termini semplici e di uso comune. Dagli ultimi dati pubblicati sembra che il numero delle donne che si ammalano di tumore della mammella sia aumentato rispetto agli anni passati ma non è proprio così, e lo vedremo tra un po’.Per quanto riguarda le cause, si attribuisce la responsabilità ad una mutazione genetica delle cellule della mammella, che le “blocca” nella loro fase di crescita e moltiplicazione da diventare incontrollata con la conseguenza di avere “cellule tumorali” che si riproducono e vivono alle spese delle cellule sane. Acquisiscono inoltre la possibilità di staccarsi dal loro gruppo e migrare, attraverso il circolo sanguigno o linfatico, in altri distretti corporei per continuare a moltiplicarsi, creando gruppi di altre cellule simili a se stessa (neoplasia) e formando così altri noduli per il corpo (metastasi). Il vero problema, ancora oggetto di studio, è lo stabilire che cosa induce quella mutazione genetica. Per rispondere alla domanda circa la diffusione della malattia e chiarire perché credo che il tumore della mammella non sia in aumento, penso che si debbano fare dei doverosi distinguo. Molte sono le pubblicazioni scientifiche al riguardo che direttamente o indirettamente lo dimostrano mentre quelle di divulgazione di massa riportano allarmistiche cifre sempre in ascesa sulla incidenza dei tumori al seno, che lasciano all’interpretazione pessimistica terreno fertile, con risvolti e conseguenze sulle quali ci sarebbe molto da riflettere. In realtà la “registrazione” di un numero maggiore di tumori della mammella è conseguenza dell’aumento dell’incidenza (cioè al maggior numero di diagnosi dovute al fatto che più donne si controllano) e non perché vi sia un effettivo aumento dell’insorgenza (ossia il numero dei nuovi casi). Un altro dato rassicurante è che pur aumentando il numero delle pazienti a cui viene diagnosticato un tumore della mammella (incidenza) la percentuale dei casi di morte per tale patologia risulta diminuita, e questo merito va sicuramente attribuito alla diagnosi precoce. Che ben vengano quindi i programmi di screening (non debelleranno la malattia ma sicuramente salvano molte vite). Rimane la ragionevole conclusione che qualche sforzo in più vada fatto per capirci qualcosa di più ‘a monte’ .”
Nella formazione di un carcinoma incidono fattori genetici? Ed invece, lo stile di vita e l’alimentazione possono influire?
“Come dicevo prima l’origine del cancro ha in sé una mutazione genetica e gli sforzi degli scienziati (a mio avviso pochi e mal pagati) è prettamente rivolto a svelarne i meccanismi su cui poi intervenire. Allo stato attuale sono state scoperte delle anomalie ben codificate che riguardano dei geni che hanno sigle specifiche (tra cui BRCA) e che sono il punto di partenza per approntare strategie di comportamento per prevenire (forse è meglio usare il termine “predire”) un tumore mammario. Le donne che risultano positive o anche solo incerte a tali test si ritrovano a dover scegliere tra: ansiogeni controlli serrati o traumatizzante asportazione della mammella come profilassi. E’ logico che, anche se in famiglia ci sono più casi di tumore al seno, la decisione di sottoporsi o meno alla esecuzione dei test genetici è strettamente personale, e spetta solo alla diretta interessata. Lo stile di vita e l’alimentazione non hanno una particolare specificità per il tumore al seno e quindi nella prevenzione rimangono quelli generici di vita sana ed alimentazione corretta per come oramai medici e mass-media sono avvezzi a consigliare. Ci sono diversi studi che tengono conto della responsabilità dei grassi nel metabolismo e sintesi di alcuni ormoni come l’estrogeno e che pare abbiano influenze negative sulla ghiandola mammaria soprattutto dopo la menopausa così come caso di obesità si ritiene che una alimentazione ricca di zuccheri possa favorire la crescita e la diffusione del tumore. Senza escludere ovviamente l’assunzione diretta degli estrogeni a scopo anticoncezionale per tempi prolungati. Altri studi, un po’ di nicchia, fatti dagli americani, attribuiscono al reggiseno un’azione favorente alla insorgenza del tumore, per la riduzione del flusso linfatico della mammella con possibili limitazioni al controllo delle stesse da parte del sistema immunitario. Questo solo per dire che la materia è oggetto di particolare interesse ed impegno, a volte anche poco proficuo.”
Quante possibilità ci sono per il tumore di ripresentarsi, generalmente? Nel caso in cui accada, è segno di irreversibilità della malattia?
“Dopo aver fatto tutto il percorso terapeutico può succedere che il tumore si ripresenti, in tal caso si parla di recidiva. Questa può presentarsi precocemente nella regione del tumore originario e per questo viene definita “locale”; altre recidive se interessano i linfonodi o un muscolo limitrofo sono definite “regionali”; ed altre ancora se sono a distanza, ossia in altri organi, vengono identificate come “metastasi”. Nella comparsa o meno delle recidive giocano molti fattori come: la natura aggressiva o meno del tumore (è per questo che vengono eseguiti studi più approfonditi sul “pezzo operatorio”), le dimensioni di partenza e le risposte che la paziente da alle terapie adiuvanti. Chiaramente tutto questo assume i connotati di una individualità che non possiamo generalizzare. Possiamo dire però che grazie ad una buona radicalità chirurgica ed a sempre più mirate ed efficaci terapie (radioterapia, chemioterapia, terapia ormonale) queste stanno diventando sempre meno frequenti. Anche i tempi e le procedure di controllo (follow up) della malattia hanno la loro importanza, e trascorsi i 10 anni dall’intervento la donna si può considerare fuori pericolo.”
Tina Raucci