Un tema storico-religioso, davvero cospicuo nella vita sociale di Marcianise, concerne il culto del mistero della Crocifissione, sempre particolarmente curato nella Chiesa di S. Michele Arcangelo, come attestano documenti risalenti finanche al 1500. Mette conto ricordare, in proposito, che la Chiesa, com’è al presente, fu costruita a spese pubbliche nel 1523 ed elevata a Collegiata dall’Arcivescovo di Capua Cardinale Nicola Scomberg e che in essa furono eretti tre altari conformi alla tradizionale solennità dell’Esaltazione della Croce ed al mistero della Crocifissione: uno dedicato all’Agonia del Signore, uno alla Consolazione, uno alle Cinque Piaghe. In riferimento a questo culto va motivato il vivo desiderio di posare nella Chiesa una statua del Crocifisso, desiderio realizzato nel 1706, quando alcuni prelati locali, portatisi nello studio dello scultore napoletano Giacomo Colombo, senza lesinare sul prezzo, comprarono la statua lignea di Cristo in Croce, da cui furono all’istante favorevolmente colpiti. La statua, benedetta dal Can. Saverio Cuomo della Cattedrale di Napoli, fu portata a Marcianise il 22 maggio 1706 e ricevuta con profonda devozione dal Clero e dal popolo; collocata sull’altare detto delle Cinque Piaghe, vi rimase finché non fu sistemata nella Cappella dov’è al presente. Si racconta che nel 1779, a causa di una terribile siccità accompagnata da “li continovi venti”, la quale minacciava l’annata di grano, il popolo si rivolse al Crocifisso. Furono stabilite suppliche di massa che culminarono con una processione: la statua fu portata per le strade di Marcianise, a cui la folla continuava a chiedere protezione. Caso o miracolo? Fatto sta che il giorno seguente piovve abbondantemente sì che fu assicurata l’annata di grano. In segno di gratitudine fu organizzata una festa per il 16 giugno e fu deciso di sistemare il Crocifisso più decorosamente su un altare di marmo.
Nel 1790, intanto, si era costituita la Congregazione del SS. Crocifisso, ma ciò che più importa sottolineare è che il popolo marcianisano in ogni occasione di pericolo e di bisogno rivolse preghiere al mistero della Croce e n’ebbe favori. Così avvenne nel 1805 nella circostanza terrificante del terremoto; così nel 1823 a causa della siccità, più temuta dello stesso sisma, data la natura dell’economia locale; così in occasione della pestilenza del 1837, che da Napoli si era propagata rapidamente e che mieté tante vittime; così nel 1884 al tempo del colera che da Napoli si diffuse nelle contrade vicine, facendo ovunque vittime in gran numero, tranne a Marcianise dove fu esposto il Crocifisso; così nel 1899 quando per le insistenti piogge le campagne furono assalite “da tale abbondanza di vermi che impedivano il rigoglioso sviluppo” dei seminati; così nel 1906 nella circostanza della pioggia di cenere che dal Vesuvio in eruzione veniva trasportata dal vento fin sulle campagne locali, minacciandone i raccolti; così durante la pandemia influenzale, detta la “spagnola”, del 1918-19, che pur tante vittime fece. Le citate calamità sono ricordate dal Rev. don Raffaele Jodice nel libretto “Marcianise e il SS. Crocifisso”, pubblicato nel 1906; da Gaetano Andrisani nel libretto “Valore di una tradizione – Il Crocifisso dei Marcianisani”, pubblicato nel 1953 e nel volume “Il Crocifisso di Marcianise” edito nel 2007; dal Prof. Salvatore Delli Paoli nel volume “Il Duomo di Marcianise” del 1982 e dallo scrivente nel testo “Il calore e il colore di Marcianise” (Annuario del folclore) del 1985 confluito poi nel volume “Marcianise: il Tempo, il Volto, l’Anima” del 1998. Si apprende, oltretutto, che in occasione della pestilenza del 1837, quando fu ben evidente la benevolenza del SS. Protettore, le autorità comunali, riunite in consiglio, redassero un documento pubblico con cui il Municipio si impegnava a pagare le spese di una festa annuale, in onore del Crocifisso, da tenere il 25 luglio. Copia di questo atto pubblico fu inviato alla Curia di Capua, alla Santa Sede, alla Casa Reale con la richiesta di assenso nella parte che competeva a ciascuna autorità. Ne derivò che il 25 luglio fu dichiarato festa di precetto con l’obbligo del digiuno nel giorno precedente. Il Papa Gregorio XVI, l’anno successivo, concesse di lucrare l’indulgenza plenaria a chi partecipasse ai vespri del 25 luglio. Dal 1837, dunque, ebbe inizio la tradizionale festa del Crocifisso, ma una ventina d’anni dopo, poiché luglio era il mese di intenso lavoro nei campi, si decise di spostare la data dei festeggiamenti alla seconda settimana di settembre. La sera del 25 luglio, però, in piazza Umberto I viene alzata la bandiera recante la data di inizio della festa popolare, rimanendo invariata la solennità religiosa, che fu sempre preceduta da un novenario. Un tempo era perfetta la sintonia tra la festa di Chiesa e la festa mondana. Il compito di organizzarla, di programmare le iniziative, di provvedere alla raccolta del denaro e alle spese, di curarne i dettagli e tutto quanto era necessario per la sua riuscita, era affidato ad un’apposita commissione, formata, fin dalla data dell’istituzione della festa, da tre rappresentanti del clero e da due laici. I componenti della Commissione, animati com’erano da uguali sentimenti devozionali, operarono sempre in perfetto accordo, e però nel 1921 sorsero contrasti tra il Sindaco Saverio Merola, un esponente di spicco del socialismo della provincia, e il Primicerio Can. don Giuseppe Scialla. Alla base della polemica c’era non la motivazione della festa, ma la sua gestione. Il Sindaco, avveduto e scaltro politico, percependo il risvolto propagandistico che era possibile dare alla festa, giocò d’azzardo per averne la gestione. Non la spuntò.
La festa era preannunciata da alcuni segni ricorrenti. Uno era la potatura degli alberi circondanti la piazzetta di S. Pasquale e la piazza del Mercato Vecchio. Ma tipico del periodo prefestivo era il transito per le strade di Marcianise di frotte di tacchini che con il loro gloglottare davano tono all’attesa della festa. I venditori di tacchini facevano buoni affari, ma chi faceva veri affari d’oro era la “capèra”, a cui le donne nostrane affidavano la loro lunga e folta capigliatura, in tempi precedenti la parrucchiera. Dal momento in cui Marcianise fu servita dall’elettricità, ci fu un fervore di attività per la posa dei pali da utilizzare per sistemare le arcate delle luminarie elettriche. Il lavoro di sistemazione delle luminarie finiva il sabato sera, poco prima degli scoppi delle bombe carta che davano il segnale d’inizio della festa. In tale circostanza le luminarie si accendevano per prova e si perfezionavano secondo la bisogna in modo che nei giorni seguenti dessero il tono festoso alla ricorrenza popolare. Intanto, lungo le strade di maggiore afflusso di popolo, si sistemavano le bancarelle; prendevano posto i cozzari presso la Chiesa di S. Carlo e in piazza Atella; si sistemavano i tavolini e le sedie in piazza Mercato dove era già stato predisposto il palco per la banda musicale, sì che i cittadini potessero ascoltare comodamente la musica, mentre consumavano bibite e “’o spasso” (nocelle, semi, fave, ceci); si sistemavano le sedie per i soci e loro familiari fuori i Circoli ricreativi: la piazza, insomma, diveniva un salotto gremito da varia umanità. Va ricordato, infine, che in un tempo non molto lontano la festa era occasione per le giovani coppie di fare “‘a sciuta” (l’uscita) e di far tappa in una pasticceria per consumare la immancabile fetta di spumone.
Nicola Letizia