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Il Gioco della Dama: origini, aneddoti, leggende | a cura dell’ASD Libur Marcianise

Per tradizioni, caratteristiche e finalità il gioco della dama appartiene di diritto alla famiglia dei nobili svaghi. Le sue origini sono cosi remote che intorno ad esse aleggia la leggenda. Dove e quando abbia fatto la prima apparizione nessuno è in grado di affermarlo con esattezza, nonostante gli studi, le ricerche, i ritrovamenti sopravvenuti nel corso dei secoli. Né alcuna attendibile traccia si è potuta ricavare nei testi e nelle opere del Medioevo, probabilmente perché gli scrittori dell’epoca non avevano interessi o cognizioni sufficienti riguardo ai giochi in genere e a quelli della scacchiera, dama e scacchi, in particolare. Sul fatto che la dama sia antichissima tutti gli studiosi sono concordi, ma sulla priorità della sua invenzione le loro discordanze sono rimarchevoli e tali da confondere le idee. Taluni la fanno risalire agli Egizi, altri ai Greci, altri ancora ai Romani. Curiose poi sono certe attribuzioni circa il nome dello scopritore: si accenna a Palamede, a Muzio Scevola, a Marc’Aurelio! Il che sembra testimoniare che talvolta la serietà delle indagini lasciava il posto alla fantasia. Comunque sia, è interessante rilevare quanto e quali sono state le modificazioni nel lunghissimo excursus del gioco attraverso i secoli.

A Palemade si attribuisce l’invenzione della “pettia”, gioco greco che è senz’altro da ritenersi la forma primitiva dei “giochi di piastrelle”, e che veniva svolto con cinque pezzi per parte. Ma la pettia , di cui parla Euripide (V;196), si interpretava anche in un altro modo: si effettuava cioè con 20 pezzi contro un pezzo solo, più grosso degli altri, e consisteva nel riuscire a bloccare quest’ultimo nel suo campo. Varietà che, assieme agli alquerques di moda in Spagna nel 1200, aveva analogia con il nostro “gioco del lupo e della pecora”

Il “plintion”, greco anch’esso, è da considerarsi un amplificazione della “pettia”: nel “plintion” i pezzi erano catturati quando venivano ad essere circondati uno per uno da due pezzi avversari. Altri ampliamento di giochi preesistenti si verificano in Egitto con il “tau”accanto alla “seega”, con la “merelle” (filetto) a 6,9 e 12 accanto al “triodium” a 3 pezzi. Presso i Romani fiorì invece il gioco del ”ludus latrunculorum”, nel quale, erroneamente molti dotti vollero identificare gli scacchi, mentre invece sembra assodato che l’antica Roma non abbia conosciuto quel grande gioco, che solo molto più tardi venne introdotto in Europa dalla Persia dove già da lungo tempo veniva praticato.

Il”ludus latrunculorum” ( di cui è fatta mansione nelle opre degli autori classici dell’epoca) si giocava su 1 tavola di 144 caselle (12×12) con trenta pezzi per parte. Le caselle erano bianche e nere e i pezzi di due specie: “Vagi” e “Ordinari”. I Vagi avevano più libertà di manovra rispetto agli Ordinari, cosi come ora la dama rispetto alle pedine. Il gioco consisteva nella cattura dei pezzi avversari. Evidente è quindi l’analogia con il gioco moderno. A causa della popolarità del gioco, il ludus subì l’ultima importantissima modifica. Si snellirono le proporzioni della scacchiera (da 144 a 64 caselle) e si abolirono i Vagi all’inizio della partita, dando agli Ordinari la possibilità di tramutarsi in Vagi quando riuscivano ad arrivare al sommo della tavola.

Nacque così il gioco della dama (dal latino domina)

Così come si è andato configurando nel suo definitivo assetto, il gioco della dama è un esercitazione mentale assolutamente probatoria, che presuppone un cospicio apparato teorico ed un crescente infiltrarsi di varianti e di situazioni non sempre aprioristicamente inquadrabili e perciò aperte all’inventività, al calcolo, al senso della tempestività, del piazzamento, della conclusività.

Rubrica mensile a cura dell’A.S.D. Libur – Scacchi & Dama – Marcianise (CE)

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Alfonso Alberico - Marcianise

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