“Houston, abbiamo un problema”. Un problema chiamato “calo demografico” e gli effetti saranno travolgenti. Prima di addentrarci nell’articolo prendete una foto di gruppo del matrimonio dei vostri genitori. E’ vero, è complicato, lo so. Allora, immaginatela. Ora, se siete sposati, prendetene una del vostro matrimonio. Se non siete sposati, prendete quella di un vostro amico già coniugato. L’importante che sia un vostro coetaneo. Scommetto che la prima differenza che noterete, a parte i vestiti, è che nella prima foto ci sono molti più bimbi e ragazzi rispetto che nella seconda. Molti più parenti nella prima foto, molti più amici nella seconda. La verità è che i fratelli, le sorelle ed i cugini, rispetto al passato, sono diventati merce rara, non se ne trovano più. Ora, a meno che al vostro matrimonio non abbiate voluto o vogliate essere quattro gatti, invitare gli amici ha anche un altro scopo. Far riuscire la festa. Ovviamente, scherzo. Viva l’amicizia. Viva gli amici!
Cosa c’entra tutto ciò con i giovani e soprattutto con la nostra rubrica che parla di economia? Eccome se c’entra! C’entra perché il dato di fatto è che si fanno sempre meno figli e questo, inevitabilmente, influirà sul nostro futuro e sul nostro benessere socio-economico. All’inizio del novecento, mediamente, si facevano quattro/cinque figli a coppia. Negli anni trenta, tre figli. Negli anni settanta-ottanta, due figli. Oggi, poco più di un figlio a coppia (1,2). Da quattro nonni, in futuro, nascerà un solo nipote. Nel mondo il ritmo di crescita della popolazione è di circa 80 milioni di persone l’anno, ma mentre Asia ed Africa crescono a ritmi alti, l’Europa ha un saldo negativo per circa 100 mila persone l’anno. In Italia il saldo negativo nel 2015 è stato di 162mila unità. Immaginate quattro città come Marcianise scomparire in un anno. Ogni generazione fa registrare statisticamente un dimezzamento delle nascite. Quella che una volta era la piramide della popolazione (più giovani alla base e meno anziani sulla punta), si sta trasformando in un cono. La piramide si è, praticamente, rovesciata.
Per tale motivo, con il trascorrere del tempo, da noi ci saranno sempre meno giovani e sempre più anziani. Ma quanto incide il calo demografico sulla nostra vita quotidiana? Tantissimo.
Da buon marcianisani starete già pensando al calo delle associazioni giovanili ed all’aumento dei circoli per anziani nel centro della città. Male. Qui la cosa sarà molto più grave, soprattutto se ci faremo trovare impreparati. Il punto è che ci saranno più anziani che dovranno essere “sostenuti” da meno giovani. Più passa il tempo, più saranno le pensioni da pagare. Meno saranno i giovani che contribuiranno a pagarle, più si alzerà il debito pubblico. Infatti, essendo il nostro sistema pensionistico a “ripartizione” (cioè i contributi versati da chi lavora servono per pagare i pensionati di oggi), il grosso problema che ci troveremo di fronte sarà chi pagherà queste pensioni se i giovani saranno sempre meno, anche nel caso in cui l’occupazione dovesse migliorare? L’Italia dovrà così indebitarsi ancora di più.
Inoltre, l’aumento degli over 65 porterà inevitabilmente ad una maggiore spesa pubblica da destinare alla loro cura. Spesa, in tempi di “pareggio di bilancio”, che sarà sottratta molto probabilmente al capitolo delle politiche giovanili. Quindi, più passa il tempo, maggiore sarà la spesa per le pensioni e maggiore sarà la spesa sanitaria da destinare agli anziani.
Ma con quali soldi se i giovani per produrre lo stesso Prodotto Interno Lordo dei loro genitori dovrebbero lavorare 48ore al giorno, essendo numericamente meno della la metà dei primi e vivendo in un’epoca dove la bassa inflazione o, addirittura, la deflazione la fa da padrona? Anche gli investimenti privati sulla popolazione anziana avranno più mercato, quindi più probabilità di successo di quelli sui giovani. Sempre più flussi di denaro si sposteranno verso l’offerta di beni e servizi per anziani. Detto ciò, viene naturale pensare che, in Italia, se non si interviene presto a livello strutturale, il “patto tra generazioni” che tiene in vita il sistema, salterà e la lotta tra generazioni farà grossi danni.
Il problema ulteriore è che il calo demografico si è ulteriormente accelerato per la grande incertezza in campo lavorativo ed economico che colpisce senza freno le nuove generazioni.
Senza lavoro o sottopagati, costretti ad emigrare o a cambiare spesso destinazione, i giovani hanno difficoltà a mettere su relazioni stabili e quindi famiglia. Se non si cambia rotta, non ci sarà campagna sulla fertilità che tenga, soprattutto se fatta così male da produrre l’effetto opposto come il “fertility-day” promossa dal Ministero della Salute. Qualcuno potrebbe obiettare che anche dopo la guerra vivevamo in una situazione di grossa crisi e nonostante tutto le famiglie erano numerose. E’ vero, ma 70 anni fa non solo i consumi pro-capite in termini reali erano molto più bassi ma anche l’aspettativa di vita era ben inferiore ai 50 anni.
Cosa si potrebbe fare per cambiare questo trend negativo? Forse dando maggiori opportunità ai giovani e mettendo in pratica politiche che vadano in quel senso. Ad esempio, si potrebbe normativamente facilitare e rendere conveniente il passaggio patrimoniale dai genitori ai figli. Far in modo che cambi la situazione per cui i primi hanno i soldi ma non la forza, mentre i secondi hanno la forza e le idee ma non i capitali da investire. Così i giovani avrebbero più possibilità di essere artefici della propria vita, poter scegliere ed agire senza ricatti, non avere giustificazioni, divenire più responsabili ed avere maggiori possibilità di metter su famiglia ed accrescerla. E per garantirgli un tenore di vita accettabile quando si faranno a loro volta anziani?
Spingere l’acceleratore sulla sottoscrizione di strumenti finanziari-previdenziali con sistema a “capitalizzazione” (i contributi versati serviranno a pagare in futuro solo la propria pensione e non quella degli altri) che sostituiscano nel tempo il ruolo dello Stato, oggi a malapena in grado di reggere le vecchie generazioni. Ma tutto ciò non può esserci senza lavoro, senza produttività e quindi senza crescita.
Vincenzo Delle Curti – Consulente Finanziario FinecoBank
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