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Perché sbagliamo quando giochiamo a scacchi | a cura dell’ASD Libur Marcianise

Gli scacchi non sono solo un gioco ma un veicolo di comunicazione della cultura. Tra i pochi divertimenti e piaceri superstiti ad ogni variazioni di gusto, degli usi e costumi sociali, sebbene sempre visti in modo ambiguo, gli scacchi sono tutt’altro che un gioco sterile e incapace di catturare la sfera inconscia dell’io.

Attorno al nobile gioco ruotano l’ammirazione del profano, la fantasia del bambino, l’ansia da prestazione, la voglia di vincere, la paura della scelta e della morte.

Tutti gli scacchisti vivono emozioni forti, se giocano.

Cause fisiche e mentali dei nostri errori.

Tutti gli scacchisti seri si saranno sicuramente soffermati spesso in sede di analisi su una questione di importanza primaria: perché abbiamo sbagliato proprio in quel momento, proprio quella mossa così importante?

Quando diciamo di “aver sbagliato”, generalmente intendiamo due cose: o di non aver

giocato la mossa vincente o di non aver evitato una mossa perdente.

La domanda si snoda in due problemi, talvolta diversi, ma uniti dalla stessa radice.

Molti riducono la questione al puro dato di fatto: abbiamo sbagliato perché invece di giocare una mossa ne abbiamo fatto un’altra per ragioni più o meno sensate (o più o meno insensate). Quello che accade, sempre e comunque, è che di fronte all’errore cerchiamo dei resoconti coerenti che spieghino l’insensatezza, assoluta o relativa, del nostro agire. Per le mosse vincenti non ragioniamo così perché già sappiamo il motivo del nostro comportamento. Tuttavia, ben pochi si sono sforzati di andare oltre questo livello e domandarsi perché in generale compiamo determinati errori piuttosto che altri e perché taluni ricorrono più spesso.

Ritorniamo alla domanda iniziale: “perché ho sbagliato?”, e scriviamola in forma più generale.

Perché si compiono degli errori?”

Siamo di fronte ad una di quelle domande la cui formulazione è assai breve e la cui spiegazione, o risposta, è molto lunga e articolata. In questo terzo articolo della Ns Rubrica seguiremo questa strada: elencare i generi degli errori (almeno quelli più comuni) e, solo dopo, vedere i punti conduttori di questi e, in fine, avanzare qualche ipotesi sulle cause di essi.

In poche parole, risaliamo la corrente da un livello di descrizione dei dati di fatto fino alla postulazione di una spiegazione plausibile.

Innanzi tutto, un elenco. Diciamo che gli errori più comuni, in generale, sono di due generi: di cecità o di dimenticanza. Intendiamo con “cecità” quelle disattenzioni dovute al lasciare un pezzo in presa: anche il più somaro dei giocatori riconosce, nelle giuste circostanze (magari senza la fretta o la soggezione), se un pezzo è, o non è, in presa e, se non lo prende, significa che non ha visto (più o meno letteralmente) il pezzo.

Con “dimenticanza” intendiamo l’errore opposto, vale a dire quello di lasciare un nostro pezzo in presa. Se si facesse una statistica, è possibile, se non certo, che la gran parte delle partite a qualsiasi livello sono dovute a questo genere

Per finire il gioco degli scacchi dipende almeno tanto dalla tecnica quanto dalla nostra forza psicologica. Nulla è più comune di una profezia che si auto-avvera, e la più classica è: se comincio a giocare temendo la forza dell’avversario, e così cercando un pareggio per motivi di classifica o per evitare una sconfitta, finirò per porre in atto una serie di limitazioni alla qualità del mio gioco che causeranno esse stesse la mia sconfitta. Inoltre: gli errori possono essere indotti nell’avversario, per esempio mettendolo sempre in condizione di giocare in un campo dove non ha conoscenze tecniche, o di dover decidere in condizioni di stress. Pensiamo ad esempio di dover giocare contro un giocatore più forte, con molte conoscenze tecniche. Nulla di più facile che egli veda un vantaggio dove noi non ne siamo consapevoli, e si appresti a sfruttarlo. Piano piano la nostra posizione scivolerà in svantaggio, saremo costretti a mettere in campo tutte le nostre capacità tecniche per resistere, ed ogni nostra svista o imprecisione farà ulteriormente degradare la posizione finché, stressati, finiremo con il commettere un errore ormai irreparabile (es: lasciare un pezzo in presa, perdere un pezzo per una combinazione anche di poche mosse). In questo modo, la nostra incapacità di comprendere la profondità del gioco dell’avversario potrebbe indurci a pensare che, in fondo, l’avversario non fosse superiore a noi, ma che abbia beneficiato del nostro grave errore finale.

Orbene, negli scacchi si vince grazie agli errori dell’avversario, ed in particolare vince chi commette il penultimo.

Ma sarebbe fuorviante ritenere di aver perso per un errore casuale: in realtà è stato l’avversario, magari senza neppure che ce ne rendessimo conto, capitalizzando i piccoli o grandi vantaggi posizionali, dinamici o strategici accumulati, a metterci in condizione di sbagliare.

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Alfonso Alberico - Marcianise

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