La convocazione ufficiale di tutti e cinque governatori della Casa Santa per gli anni 1758-59 e 1759-60 posti sotto esame (Decio Foglia, Alessandro Foglia, Lorenzo Amorosa, Giuseppe Zarrillo e Francesco Foglia) insieme ai loro avvocati e eventuali procuratori, venne fissata per il giorno sette novembre a Casapulla con prosieguo nei giorni successivi affinché “avessero legittimamente continuato ad assistere nel convicino casale di Casapulli avanti all’Ill.mo Regio Consigliere Sig. D. Carlo Paoletti Delegato coi loro Mag. Avvocati e Procuratori a vedere la continuazione della discussione da farsi sopra la revisione dei conti della loro amministrazione”. Gli atti non danno conto della durata di questa discussione, che certo non fu breve. Alla sua conclusione (credo intorno al periodo di Natale 1768) Paoletti ordinò, prima di procedere ad emanare il decreto con la contestazione di addebiti e i relativi ordini di recupero delle somme, che Salvati facesse una media dei costi per paziente del vitto somministrato presso l’ospedale, evidentemente avendo in animo di confrontarlo con la spesa inserita a bilancio. Allo stesso modo chiese che venisse quantificato il numero delle messe celebrate per i benefattori sia all’interno della chiesa dell’Annunziata, sia in altre chiese. In quest’ultimo caso intendeva accertare i costi per le messe celebrate fuori della sede naturale della chiesa dell’Annunziata inammissibili perché vietate dalle disposizioni correnti. Per il costo medio del vitto Salvati esaminò i ricoveri presso l’ospedale di Marcianise nei tre mesi di ottobre, novembre e dicembre 1768, giungendo alla conclusione che la spesa pro capite per il vitto degli ammalati (escluso il pane) fosse pari a “grana cinque e cavalli quattro”. L’individuazione del costo medio serviva evidentemente per far emergere l’eventuale eccesso di spesa presente nei conti per questa voce. Si trattava di una procedura legittima, del tutto a favore degli imputati, perché il costo veniva calcolato con i prezzi del 1768 ovvero dieci anni dopo gli anni in questione e quindi sicuramente con prezzi più alti. Nonostante questo, come vedremo, i conti per questa voce compreso il costo del pane, per il quale si procedette allo stesso modo, risultarono sensibilmente maggiori. Quanto alle messe Salvati accertò che per l’anno 1758-59 il totale delle messe celebrate dai cappellani e da altri sacerdoti era stato di ben 3668, di cui 1009 nella chiesa dell’Annunziata e ben 2659 (più del doppio) celebrate in altre chiese, contro le disposizioni date dagli stessi governatori in anni precedenti tuttora valide e contro la stessa volontà dei benefattori che avevano legato le loro cospicue donazioni appunto alla celebrazione di messe in suffragio della loro anima da celebrarsi esplicitamente all’interno della chiesa dell’Annunziata. Per l’anno 1759-60 il totale era stato di 3232 messe con un rapporto più equilibrato tra le 1600 celebrate nella chiesa dell’Annunziata e le 1632 celebrate in altre chiese. Nel marzo del 1769 il soprintendente Paoletti fu in grado di emettere la sentenza molto articolata e specifica che o richiedeva ulteriori chiarimenti o addebitava, a volte al solo cassiere, Decio Foglia, a volte all’intero collegio dei cinque governatori, evidenti disamministrazioni o addirittura distrazioni di pubblico denaro. In particolare nella parte delle entrate Paoletti richiedeva che i governatori fornissero chiarimenti entro dieci giorni sul perché non avessero riscosso dagli affittuari che pagavano la locazione con il prodotto dei campi ben settecento ottantuno tomoli di grano. Sempre entro dieci giorni inoltre i governatori dovevano consegnare la lista originale del cosiddetto “punto” ovvero delle annotazioni riguardanti le assenze ingiustificate dei cappellani della Chiesa dell’Annunziata che non avessero adempiuto il loro servizio presso la chiesa stessa.
Dura la sentenza in materia di uscite con la decisione di Paoletti di ritenere legittime solo le messe celebrate dai cappellani all’interno della chiesa dell’Annunziata e di imputare al cassiere Decio Foglia il rimborso di 265 ducati e 9 carlini pari alla spesa per 2659 messe celebrate fuori sede, cosa espressamente vietata alla luce di ben due deliberati assunti nel 1746 e ancora nel 1751. E’ evidente che Paoletti ritenesse di dover dare un segnale forte all’intero clero attivo nella chiesa (mediamente 30 cappellani) operando una evidente stretta disciplinare, nonostante la delicatezza della materia che poteva implicare anche rapporti non facili con l’ordinario diocesano, da cui evidentemente Paoletti aveva ricevuto l’assenso, considerato che non si registrarono proteste da questa parte all’indirizzo del soprintendente.
Altro addebito all’indirizzo del cassiere Decio Foglia venne dall’applicazione della media ragionata della spesa pro capite per il vitto dei degenti presso l’ospedale. Con questo criterio Salvati aveva accertato una spesa eccedente di 41 ducati e 3 grana che Paoletti addebitò chiamando il cassiere a saldare la somma predetta sempre entro quattro giorni. Sulla spesa dei medicamenti necessari per la cura degli ammalati dell’ospedale Paoletti decise di ordinare all’attitante Salvati di assumere ulteriori informazioni. Quanto alle nutrici, servizio che veniva svolto da donne che allevavano nella loro famiglia bambini abbandonati fino al settimo anno di età, Paoletti ordinò che stavolta l’intero collegio dei cinque governatori restituissero la somma di ducati 32 e carlini 7 pari al pagamento dello stipendio annuale corrisposto indebitamente ad Agnese Mirto, Rosa Grillo e Angelo de Sio, non inserite nell’elenco ufficiale delle nutrici, mentre al solo cassiere Decio Foglia venivano addebitati ulteriori sei ducati carlini quattro e cavalli otto “soluti ultra praedictum tempus annorum septem” (pagati oltre il periodo di sette anni). In merito al corposo capitolo delle elemosine, elargite molte volte in maniera personalistica e senza alcuna legittimità, Paoletti ordinò a Salvati di procedere ad un esame minuzioso dei singoli mandati onde individuare quelli formalmente illegali perché non firmati da almeno tra governatori. Minuzioso anche l’esame del capitolo dei maritaggi. Questi venivano concessi sulla base dei legati di fondazione e in genere erano destinati a giovani discendenti della famiglia del fondatore. Paoletti accertò che quello concesso a Domenica Iodice e Luigi Tartaglione pari a cinque ducati era illegittimo in quanto la fanciulla non apparteneva alla famiglia de Caprio, disponendo quindi che tale somma venisse restituita dai governatori. Allo stesso modo Paoletti ritenne illegittimi i maritaggi concessi alle coppie Caterina Massaro e Agnello Abbate, Carmina Gionti e Saverio Musone, che avevano ottenuto 20 ducati ognuna, Geronima delli Pauli e Antonio Boccagna (10 ducati), Giulia Amorosa e Antonio Golino (ducati 6, grana 36 e cavalli 8), per una somma in totale di ducati 56, grana 60 e cavalli 8 imputata al cassiere e agli amministratori firmatari dei mandati in quanto le fanciulle non erano discendenti della famiglia di Altobello Barbato fondatore dei maritaggi. Con la stessa motivazione furono ritenuti illegittimi, e il loro importo pari a ducati 22 addebitato come al solito al cassiere a agli amministratori firmatari dei mandati, i maritaggi concessi a Rosa Tartaglione (ducati 14), Rosa Massaro e Carlo Petrone (ducati 8), secondo il testamento di Giovanni Leonardo Silvestri del 7 febbraio 1592. Nell’ambito della partita relativa agli “Esiti diversi” la somma di ducati 112 e grana 96 venne addebitata al cassiere e ai governatori firmatari ai quali fu imposto l’obbligo di deposito entro giorni quattro. Si trattava di un insieme di mandati per incombenze diverse destinati a notai, procuratori, avvocati e cancelliere della chiesa per somme ricevute e ritenute da Paoletti in eccesso o attribuite maniera immotivata. Tra questi il notaio Domenico Lasco, Scipione Rauccia, Agostino Pellegrino, D. Francesco Farro, Bartolomeo Colella, Domenico Iannone, Andrea Mazzarella, Domenico Tartaglione, Francesco di Martino. Per le due festività canoniche celebrate nella chiesa dell’Annunziata ovvero la festa del Santo Rosario e naturalmente quella della Santissima Annunziata l’intervento di Paoletti fu severo con il dimezzamento dei costi registrati al bilancio, per entrambe le festività. In particolare per quella del Santo Rosario, celebrata il 7 ottobre, Paoletti ammise solo la spesa di 38 ducati, secondo quanto stabilito nel decreto del 23 settembre 1763 del soprintendente marchese Tiberio di Fiore addebitando al cassiere e agli amministratori che avevano firmato il mandato la somma di ducati 49 e grana 88. Per quella dell’Annunziata (25 marzo) la spesa registrata di 305 ducati e grana 84 fu ammessa solo per 190 ducati mentre la parte rimanente pari a 115 ducati e grana 85 fu imputata a carico del cassiere e degli amministratori firmatari. Tale decreto fu notificato il 15 aprile 1769 a tutti gli amministratori dell’anno 1758-59 dal messo Francesco delli Paoli. Il totale degli addebiti, in attesa dei chiarimenti richiesti a Giosue Salvati, ammontava alla incredibile somma di 918 ducati e 5 carlini, di cui oltre la metà (522 ducati ) ascritti al solo Decio Foglia che in quanto cassiere assumeva la responsabilità maggiore degli ordini di pagamento che autorizzava, mentre la restante parte (396 ducati) andava ripartita, in un caso che coinvolgeva la somma di 32 ducati tra i cinque componenti, e per tutto il resto tra due componenti e il cassiere che ne rispondeva sempre. Non era mai successo a memoria d’uomo che i governatori venissero chiamati a dare conto del loro operato finanziario e addirittura chiamati a rimborsare l’Ente da loro mal governato con somme così importanti. (Continua)
Salvatore Delli Paoli