Che cosa distingue un Gran Maestro da un giocatore di livello inferiore? Tradizionalmente la letteratura scacchistica analizza posizioni di apertura, mediogioco e finali come base fondamentale delle conoscenze del giocatore. Tuttavia non sempre lo studio e l’applicazione dei principi di scacchi è sufficiente per raggiungere l’obiettivo finale del gioco, cioè la vittoria. Infatti elementi della personalità del giocatore, quali il carattere, la volontà e l’attenzione, possono determinare il successo o il fallimento della battaglia scacchistica. La psicologia umana, in relazione al gioco degli scacchi, è stata studiata per la prima volta durante il Torneo di Mosca del 1925 da parte dell’Istituto di Psicologia, i cui risultati hanno indicato la sua importanza per la competizione. Ma questa ricerca non ha molto influito nella pratica del gioco e non ha neppure indicato come evitare errori e sviste che avvengono quasi in ogni partita. Ma nuovi studi su questo argomento da parte di psicologi e scacchisti hanno inquadrato in seguito il ruolo dei fattori emotivi e il loro controllo, i difetti dell’attenzione, ed altri elementi psicologici, che condizionano negativamente i processi logici del giocatore. Si sono infine presentate le caratteristiche individuali di alcuni campioni, come Morphy, Lasker, Capablanca e Fischer ed altri, non solo per la l’abilità nel gioco o la tecnica scacchistica, ma anche in relazione alla loro personalità, considerata da un punto di vista psicologico o psicoanalitico. Gli scacchi rappresentano un vasto fenomeno sociale, oltre che scientifico, per questo sono stati oggetto di analisi da parte di molti psicologi. Nei vari trattati non si è affrontato l’argomento dal punto di vista prescrittivo, indicando come gestire la mente durante l’attività agonistica, ma descrittivo, analizzando i fenomeni psicologici mediante il Metodo Scientifico, che si basa sui risultati di analisi dettagliate.
Uno degli argomenti oggetti di studio è il rapporto tra il “genio innato” e le “capacità acquisite”. Si ritiene che, scientificamente, non vi sia alcuna prova a favore dell’esistenza del talento naturale nei GM, piuttosto le notevoli performance si devono ad anni e anni di studio. Mediamente ne occorrono dieci per giungere a questo livello e all’assimilazione di una notevole quantità di dati e posizioni scacchistiche. Con ciò non si esclude che i “bambini prodigio” siano particolarmente dotati da Madre Natura, ma nonostante tutto hanno bisogno di studio assiduo.
La rivoluzione informatica ha coadiuvato la diffusione delle conoscenze in ambito scacchistico. Mediante l’utilizzo di software dedicati e di internet i nostri ragazzi hanno gli strumenti per evolvere precocemente in questo sport. Oltretutto sono dei grandissimi agonisti e dei lavoratori infaticabili, come si può osservare già nella nostra piccola realtà di circolo, per cui, anche se non dovessero essere equipaggiati di particolare acume per il Nobil Gioco, otterrebbero comunque grandi risultati.
Consegue, dunque, che anche il “quoziente d’intelligenza”, QI, superiore o uguale alla norma, non sia un metro di valutazione dell’ingegno scacchistico. Le capacità utili sono, innanzitutto, la creatività e la pianificazione, soprattutto perché si tratta di un gioco dove le abilità strategiche e di “problem solving” sono costantemente sfruttate e, molto spesso, occorre anche una buona dose di fantasia. Per tale ragione il QI ha scarsa o addirittura nessuna influenza sulle doti scacchistiche di un GM, perlomeno secondo i metodi scientifici non è stato provato questo rapporto di causa ed effetto.
Un altro mito da sfatare è quello della “profondità di calcolo”, che nei GM arriverebbe fino a circa 20/30 mosse, unitamente alla “visualizzazione di un maggior numero di varianti”. Sembrerebbe che ciò non corrisponda a realtà, ma che sia solo una credenza popolare, giacché i più grandi scacchisti riescono ad avanzare l’analisi solo quando tutte, o quasi tutte, le mosse sono forzate. Per il resto hanno la stessa profondità dei giocatori di livello inferiore. La differenza consiste nella comprensione della posizione, intesa come riconoscimento e memorizzazione dei “Chunk”, ossia strutture mnemoniche in cui un certo numero di elementi sono collegati tra loro. Dunque i GM hanno la capacità di riprendere le posizioni già viste e di riprodurre le soluzioni già trovate in problemi passati, quindi hanno affinato maggiormente la capacità di “percepire” anziché quella di “pensare”. Buona parte della superiorità dei GM, in conclusione, sembra consistere nella loro superiore conoscenza, ovvero nel fatto che la loro memoria contenga molti più dati scacchistici. Qualora essa non fosse sufficiente, subentrerebbe il calcolo concreto, a sua volta guidato dal riconoscimento di configurazioni, cioè dalla memoria stessa.