L’otto dicembre per il mondo cattolico ricorre la festa dell’Immacolata Concezione, ma per la Repubblica Italiana ricorre altro: l’anniversario della battaglia di Mignano Montelungo. Fu questa la prima battaglia nel corso della II Guerra Mondiale combattuta dall’esercito regolare italiano accanto agli Alleati. Fece seguito all’armistizio- resa di Cassibile (Siracusa)) tra l’Italia e gli Stati Uniti, firmato dai generali Giuseppe Castellano e Walter Bedel Smith in data 8 settembre 1943 reso noto prima dai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight Eisenhower e, poco più di un’ora dopo, alle 19:42, confermato dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio, trasmesso dai microfoni dell’EIAR. Seguì un periodo di gran confusione per l’esercito italiano e di repressione da parte dei tedeschi che si arroccarono dietro la “ Linea Volturno”.
Il raggruppamento – guidato dal generale Vincenzo Dapino – formato dal 67º Reggimento fanteria “Legnano”, dal 51º Battaglione bersaglieri allievi ufficiali di complemento, dall’11º Reggimento artiglieria, dal 5º Battaglione controcarro, da una compagnia mista del genio e da un’unità di servizi ebbe l’ordine di conquistare Monte Lungo. L’attacco fu sferrato tre mesi dopo, l’otto dicembre 1943, contando sulla sorpresa e su una fitta nebbia che fu, purtroppo, spazzata via dal forte vento. Molti morirono ed altri furono costretti a ritirarsi. Nei giorni che seguirono ci fu un nuovo attacco con l’appoggio degli americani che ebbe successo, ma il ritardo consentì ai Tedeschi di organizzarsi e di ritirarsi dietro la “Linea Gustav”.
Nella battaglia S.Pietro Infine subì ingenti danni e, in seguito, ricostruita ma più in basso. L’abbazìa di Cassino fu rasa al suolo. Oggi i soldati caduti giacciono nelle tombe del sacrario di Mignano Montelungo e San Pietro Infine è diventata Museo della Memoria. Insieme con quattro ragazzi, alunni della 3L dell’ICS “C.B.Cavour” di Marcianise ci siamo recati sul posto per rivivere un capitolo di storia. Per raggiungere il sito, ci siamo serviti di un mezzo particolare, un camper, che di volta in volta ha svolto funzione di mezzo di trasporto, aula scolastica e punto di ristoro. La visita ha avuto luogo di sabato, giorno in cui la scuola è chiusa ed è iniziata con il Museo del Sacrario. (La rivista mensile Plein Air, nella rubrica Week-end, dedica un ampio servizio all’iniziativa sul N.533 di dicembre 2016)
Sul piazzale limitrofo, disposti sul lieve declivio, trovano posto carri armati e cannoni. Le loro canne, finalmente silenti, indicano un punto nel cielo. All’interno, disposti in bacheche , trovano posto diversi reperti bellici: fucili, mitragliatrici, mortai, bombe a mano, strumenti di puntamento e bombe aeree disinnescate oltre a diversi elmetti forati, una volta indossati dai militi in lotta tra loro; essi non furono né vinti né vincitori, solo morti.
Fuori il sole del mattino irraggia le tombe esaltandone il biancore. Il luogo induce al silenzio. ” (…) Qui il sole splende, ma non abbastanza per colmare il vuoto lasciato dai nomi elencati dei soldati caduti, vuoto lasciato dagli “ignoti”, che perdendo la vita hanno perso anche il loro nome, la loro identità (…) “Gaia ””. Un gruppo marmoreo incarna un soldato esamine appoggiato alla roccia cruda. In alto, sul frontale del tempio, una scritta ricorda “MORTUI UT PATRIA VIVAT”.
Pochi chilometri più in là i resti di San Pietro Infine; ruderi ormai avviluppati nella vegetazione che sta avendo il sopravvento sulle pietre violentate. Ci aggiriamo tra i resti delle case arrampicandoci tra i viali che si inerpicano su per il declivio. Qui e là qualche testimonianza della vita che fu: “un forno sventrato”(Bartolomeo), “un soffitto caduto, un’insegna, un numero civico” (Giovanni). Scendiamo e ci avviamo lungo il sentiero che costeggia la montagna alla ricerca delle grotte scavate lungo il costone di una gola nel fitto della boscaglia dove la popolazione, inerme, si rifugiò per sfuggire alla miria-de di schegge, cannoneggiamenti ed esplosioni. Più che grotte sono tane dal difficile accesso dentro alle quali si sta difficilmente in piedi. Comunicano tra di loro attraverso stretti cunicoli ed antri oscuri; l’inferno nell’inferno… per conservare la vita. Usciamo al sole ed il verde circostante ci riporta alla nostra realtà “qui in questa natura ci sentiamo spiriti liberi” (Antonietta). Sul piazzale assolato antistante il museo virtuale – purtroppo chiuso – una muta di cani accoglie animatamente il nostro ritorno. Immediata si costituisce la mescolanza tra carezze e scodinzolii , guaiti festosi e vociare gioioso. Sono ragazzi, grazie al Cielo, padroni di un diverso destino!