Ci siamo mai chiesti però da cosa derivi la parola scacco? E come e quando sarebbe nato questo gioco che supera ogni barriera del tempo mantenendo inalterato il suo fascino?
Secondo fonti attendibili, il gioco degli scacchi sarebbe nato in India nel VI secolo, da cui si sarebbe subito diffuso in altri Paesi, sia dell’Oriente che dell’Occidente. C’è però anche una versione meno attendibile, anzi leggendaria, secondo la quale gli scacchi sarebbero stati inventati in Persia, su richiesta di un re. Per quanto riguarda l’etimologia, infatti, scacco deriva dal persiano Shah, che in Persia designava il re.
Il “gioco” degli scacchi nella loro complessità, da sempre, ha affascinato con il loro alone magico ed è uno sport avvincente che richiede molteplice qualità fisiche ed intellettive.
Re, regine, torri, cavalli, alfieri e pedoni : scacchi, un “gioco antichissimo” da conoscere in molti suoi aspetti. Un gioco per ogni età. Una disciplina impegnativa, emozionante e divertente, un gioco per crescere.
Questa rubrica composta da 10 puntate ci introduce agli scacchi non con un minicorso sul movimento dei pezzi, le regole, partite brevi, scacchi matti ma con nozioni, notizie, aneddoti e curiosità con l’unico scopo di diffondere la passione per gli scacchi come la pratica di una disciplina sportiva che favorisce la formazione della coscienza sociale attraverso il rispetto delle regole, il rispetto dell’avversario, il controllo dell’aggressività, l’accettazione della sconfitta.
Iniziamo con una breve storia degli scacchi
«Inventatemi un gioco o vi taglio la testa» La storia di Sissa ch e esaudì il re persiano Khuraw II dando origine agli scacchi
«Mi annoio, il tempo non passa mai, non ne posso più! Cari i miei Saggi, non è possibile che io, Khusraw II, il re dei re, il sovrano più ricco e più potente del mondo, io che posseggo ogni cosa e posso ciò che voglio, non è possibile che io non riesca a trovare un modo per passare piacevolmente le mie giornate! Quindi se volete continuare a vivere presso la mia corte datevi da fare, inventate qualcosa, risolvetemi in fretta il problema, altrimenti potrei divertirmi a farvi tagliare la testa!». Chissà, forse questo violento sfogo è realmente avvenuto, poco meno di tremila anni fa: protagonista il re dei persiani Khusraw II Parviz, interlocutori i suoi “saggi”, i ministri e i sacerdoti del regno.
Khusraw II Parviz (590-628 d.C.) è stato uno degli ultimi sovrani sàsànidi, noto per aver conquistato Damasco e Gerusalemme tra il 613 e il 614. Dopo di allora la Persia, attuale Iran, conobbe un decennio di pace e tranquillità. Se Khusraw era, e lo era, il sovrano più ricco e potente del mondo come è possibile che si annoiasse? Beh, allora non c’era la televisione, non c’era il cinema, non c’erano nemmeno le partite di calcio! I “passatempo” dell’epoca erano la caccia, tirar con l’arco, andare a cavallo e le mogli, tutte cose belle e piacevoli per un po’ ma alla fine faticose ed è evidente che non era possibile trascorrere tutte le giornate dedicandosi sempre e soltanto a tali “passatempo”. Quindi anche il sovrano più ricco e potente aveva necessità di una alternativa. E la storia (o la leggenda?) vuole che Kusraw si sia rivolto ai suoi dignitari e li abbia “arringati” con il discorso che abbiamo visto all’inizio e che proprio grazie a questa sfuriata sia stato “inventato” il gioco degli scacchi! Infatti dignitari e ministri si sforzarono in tutti i modi per trovare qualcosa che potesse soddisfare la richiesta di re Khusraw: ma nessuno riuscì nell’intento. Quando sembrava che la condanna a morte stesse per diventare realtà, ecco presentarsi al sovrano uno dei dignitari più giovani, Sissa, o per la precisione Sussa ibn Dahir al-Hindi. Questi stese dinanzi al re un tappeto sul quale aveva disegnato un “reticolato” composto da 64 piccoli quadrati. Poi tolse di tasca delle statuine spiegando che rappresentavano schematicamente due eserciti contrapposti pronti alla battaglia, ovviamente secondo la concezione dell’epoca di esercito. Quindi guerrieri a piedi, a cavallo e su elefanti e poi il sovrano con i suoi due generali e la tenda di comando. Sistemò quei pezzi e cominciò a spiegare le regole del movimento di ciascuno. Il re si appassionò subito a quel nuovo “gioco” e i dignitari poterono tirare un sospiro di sollievo. Questo racconto è riportato in un testo assai antico, composto verso il VII secolo d.C. e scritto in lingua pahlavica ovvero in persiano arcaico: si tratta del “Vicarisn i catrang ut nihisn i nev-artaxser”, ovvero “invenzione e spiegazione del gioco degli scacchi”.
Nel libro si legge:
“La spiegazione del principio degli scacchi (satrang) è questa: è cosa mediante intelligenza, in conformità di quanto è stato detto dai saggi la vittoria su chi è potente va ottenuta con la mente”.
Nell’antico testo persiano non si accenna però ad una ricompensa a Sissa per aver risolto il problema del suo Re e solo svariati decenni dopo il racconto si è arricchito in tal senso. Vediamo come.
«Hai ideato un passatempo magnifico. Non mi stancherò mai di giocarlo! Meriti un premio», disse entusiasta re Khusraw a Sissa: «chiedi quello che vuoi e lo avrai!». «Mio signore, rispose Sissa, vorrei del grano. Fai porre un chicco sulla prima casella della scacchiera, due sulla seconda, quattro sulla terza e così via sempre raddoppiando, fino all’ultima. Questa sarà la mia ricompensa».
Il re lo guardò stupito. Sissa avrebbe potuto chiedere oro, gioielli, donne, cavalli, terreni e mille altre cose: invece si accontentava solo di un po’ di grano.
Khusraw, che dopo la presentazione del gioco aveva considerato Sissa un vero genio, cominciò a ricredersi sul suo dignitario, anche se sotto sotto era ben contento della richiesta. Chiamò subito il capo degli schiavi e gli ordinò di far portare il grano…. La conclusione è nota: ben presto i granai del regno furono completamente vuoti e solo una piccola parte della richiesta di Sissa era stata esaudita! Per soddisfarla completamente, infatti, è stato calcolato che si dovrebbe coltivare tutta la superficie terrestre per almeno cinque volte e forse non basterebbe!
Il numero dei chicchi dal punto di vista matematico è infatti di 2 elevato alla 64esima potenza meno 1, ovvero – usando una terminologia cara a Paperon de’ Paperoni – svarianti fantastiliardi…(18.446.744.073.709.551.615). L’aneddoto relativo alla ricompensa appare su testi arabi decisamente posteriori al periodo indicato come quello della “invenzione” degli scacchi ed è dovuto all’abbinamento che gli Arabi fecero degli scacchi con la matematica. Ma di questo parleremo in seguito, così come in un’altra occasione parleremo dei pezzi e della loro evoluzione: al lettore attento non sarà sfuggito che parlando dei “pezzi” presentati da Sissa non abbiamo fatto cenno a quello che attualmente è il pezzo principale del gioco degli scacchi, la “Donna” o “Regina”. In realtà all’inizio questa figura non esisteva proprio: basta pensare a come ancor oggi la donna è considerata (o, meglio, non considerata) in Iran e nell’Islam in generale, per comprendere come una donna proprio non avrebbe potuto trovar posto neppure in un gioco, soprattutto poi in un gioco che raffigurava una battaglia.
Ma torniamo alle origini degli scacchi. Anche la mitologia non è rimasta immune al fascino del gioco: infatti la protettrice ufficiale degli scacchi è una ninfa degli alberi, la driade Caissa (ove è evidente la assonanza con il termine inglese “chess” che significa appunto scacchi), il cui nome appare per la prima volta nel poema dal titolo omonimo di sir William Jones (1746-1794). Studioso di cultura orientale, l’inglese scrisse il poemetto nel 1763, ma la prima pubblicazione avvenne solo nove anni dopo ad Oxford.
Nel poemetto Jones attribuisce l’invenzione degli scacchi a Marte: la ninfa Caissa, che dà il nome all’opera, ha solo attinenza indiretta. Tutto nasce dal fatto che Marte si innamora di Caissa ma non è ricambiato, una Naiade gli suggerisce di inventare un gioco che lo renda bene accetto agli occhi della fanciulla e per questo lo consiglia di rivolgersi ad Eufrone (o Sport), fratello di Amore.
Eufrone aiuta Marte ad inventare un gioco che, dal nome della ninfa stessa, viene chiamato gioco degli scacchi. Inutile aggiungere che grazie alla sua brillante invenzione Marte riuscì a sedurre la Ninfa.
Un altro personaggio indicato come l’inventore del gioco degli scacchi – ed in subordine del gioco della dama – è il mitico Palamede, l’eroe greco che smascherò Ulisse con uno stratagemma quando questi si finse pazzo per non prendere parte alla guerra di Troia.
Stando ad una frase di Omero, l’idea a Palamede la diede la dea Pallade Atena (Minerva), che secondo la teogonia di Esiodo era nata direttamente dal cervello di Zeus (Giove). Dea guerriera e bellicosa, ma anche dea della saggezza e della prudenza, Minerva ha caratteri morali connessi alla sua splendida bellezza fisica: così la dea rappresenta la luce dell’intelligenza e dirige gli eserciti, ma non in una guerra brutale, bensì con movimenti ragionevoli e con i più accorti stratagemmi, caratteristiche proprie degli scacchi.
a cura dell’ASD Liburi – Presidente: Elio Picone