Il Monte dei Pegni, almeno così sembra, sarà restituito alla città. Quello che per molti sembra essere un punto di arrivo, ovvero la restituzione del palazzo alla città, in realtà potrebbe essere configurato come un punto di partenza, sintetizzabile in una semplice domanda: che ne sarà domani del Monte dei Pegni?
La restituzione del palazzo ad opera della SUN è certamente un atto dovuto, ma altrettanto dovuta, in una città complessa come Marcianise, è la necessità di tirar fuori la nostra realtà da decenni di immobilismo culturale dentro cui è scivolata, avviando “da subito” una significativa stagione culturale.
Stando al comunicato stampa emanato dalla Casa Comunale, le sorti di questo palazzo dipenderanno dalla capacità delle associazioni cittadine che, si legge, “sapranno certamente valorizzarlo con manifestazioni culturali di rilievo”.
In verità, non è la prima volta che si registrano proclami di questo tipo: anche per la Casa del Mutilato è intenzione di questa amministrazione affidarlo, alle sorti future delle Associazioni cittadine.
Si ha l’impressione, senza togliere nulla alle Associazioni, che ogni qual volta si è di fronte al dilemma della gestione culturale che interessa rilevanti strutture cittadine, si ricorra strumentalmente alle benevolenza delle Associazioni, sottraendosi a precisi doveri amministrativi in materia di gestione e di politiche culturali.
Sarebbe doveroso conoscere, in una città che vanta un patrimonio storico artistico di primissimo rilievo e che si dota puntualmente di un Assessorato alla Cultura, con quali modalità e contenuti si voglia avviare la risalita verso una realtà che sia attrattiva nella sua offerta culturale.
Invece, bando ai proclami, si ha la netta impressione che tutto sia lasciato al caso, ad una gestione occasionale e giornaliera della cultura, all’iniziativa sporadica e spesso faticosa di qualche associazione.
Se così fosse ancora una volta questa città sceglierebbe la via più breve, quella della convenienza politica e quindi, quella più populista ed elettoralmente più valida ripiegando “strumentalmente” sulle associazioni e, di fatto, non affrontando l’emergenza culturale che annichilisce la nostra collettività.
Il rischio futuro che corre il Monte dei Pegni è quello di divenire un generico “contenitore culturale”, con il fine di oliare interessi politici, attraverso anche lo sperpero dei soliti contributi alle associazioni, che molto spesso, dietro articolati statuti, celano la presenza del solo Presidente, del segretario e di un qualche membro.
Questa città non crescerà se si continuerà a confondere la cultura della conoscenza e del sapere con il divertimento o il tempo libero.
Non tutte le iniziative hanno fini culturali. Molte iniziative sono servite solo a riempire il ventre basso della città, un vuoto decennale causa di una mancata politica culturale.
A questa città servono “idee e contenuti nuovi” nuove forme di politica culturale, qualche sfida, e una vera cabina di regia, autorevole e istituzionale, per un rilancio dell’identità culturale dell’intera collettività, capace di formulare anche attraverso la nostra radice storica una offerta culturale che risulti stimolante.
Nell’albo delle associazioni comunali risultano iscritte circa 80 soggetti.
Se in linea teorica in ognuno di questi vi fossero in totale 20 “associati veri” il tema della vita culturale della nostra città, rientrerebbe fra le principali voci dell’agenda politica, facendo tremare i polsi al più distratto degli amministratori.
Così non è, tranne per qualche associazione che nel tempo continua a operare.
Fin quando il primo cittadino, l’Assessore alla Cultura, il Presidente della Commissione Cultura non sentano il dovere di spiegare, quale sia la loro strategia a “lungo termine” per il rilancio del Monte dei Pegni e del sistema cultura in città, con quali contenuti programmare sul versante amministrativo una nuova stagione culturale, la sete di cultura resterà al palo, intatta ed immutata “con o senza” l’Università in città.
Per cominciare basterebbe mettere il naso nelle diverse programmazioni culturali che sono promosse nei vari comuni della nostra provincia, che si affannano a rintracciare fondi, limare bilanci, costruire sinergie con le associazioni e naturalmente stilare programmi che, nel complesso non hanno certo il carattere dell’occasionalità.
Il ritorno del Monte dei Pegni è un volano straordinario, un “brand” per la nostra comunità, un marchio da promuovere.
Da anni restiamo a guardare gli altri, basiti, inchiodati all’incapacità di restituire dignità culturale a questa città, cioè a noi stessi. Siamo figli di una storia e siamo incapaci di scriverne una noi. Con il Monte dei Pegni è arrivato il momento di non prendersi più in giro.
Michelangelo Giovinale
Faccio i miei complimenti a Michelangelo per la sua analisi, chiara e per gran parte condivisibile. Tuttavia mi preme soffermarmi, per prima cosa, su di un passaggio che a me dà la sensazione – spero ingannevole – di essere un “lapsus freudiano” e, precisamente, quando parla di “benevolenza” delle Associazioni”. La domanda che mi pongo è: perché “benevolenza” e non “disponibilità” da parte delle Associazioni – le circa ottanta iscritte nell’Albo comunale -? Spero di ottenerne qualcuna di risposta, altrimenti rimarrò nel convincimento che, alcune di esse, sono sorte per realizzare una precisa strategia basata su di un “immobilismo culturale” che, facendo da supporto in maniera più o meno inconsapevole a quel vuoto gestionale, da parte di coloro che hanno responsabilità amministrative, finisce per godere di positivi riverberi in termini di “generose sovvenzioni”. Un tal asserto potrei suffragarlo a proposito di un ammonimento che mi fu rivolto su Facebook, vale a dire di “andarci piano” poiché parole come cultura-intellettuale-colto-ideale e giù di lì se ne fa uno sciupio inutile, come un bel paio di pantaloni nuovi che ci si infila addosso a piacimento la domenica mattina, in quanto tali parole per alcuni personaggi della Storia furono riconosciute addirittura postume. Questo il senso dell’ammonimento che ricevei. Riconosco, tuttavia, che le mie limitatissime capacità di espressione e di comunicazione non permisero, alla persona che mi ammonì, di ricevere il messaggio che tentavo di dare, vale a dire che è preciso obbligo morale di chiunque abbia avuto capacità e possibilità di acquisire conoscenze, di non tenere per sé tali benefici. Il beneficio della conoscenza è tra quei pochissimi strumenti di cui una comunità dispone per poter progredire ed affermare valori quali equità e solidarietà sociale, di acuire lo spirito critico di un popolo, finalizzato all’assunzione dei propri doveri e alla rivendicazione dei propri diritti; poiché un popolo incolto rappresenta la fortuna di governanti cattivi e senza scrupoli! Le Associazioni culturali presenti quando, e se, vorranno interpretare il proprio ruolo – con o senza il palazzo Monte dei Pegni – solo allora potranno affermare di essere i veri motori culturali, e aggiungo, solo se sapranno, a parer mio, dare, alla cultura il significato, univoco e coerente, di “Religione laica” capace di generare un’etica, un modo di vivere, una condotta civile ed individuale improntata alla tolleranza, alla legalità ed al rispetto dell’altro – questo, nel contesto sociale nel quale operano e interagiscono -. Altrimenti, (sempre per alcune di esse) nelle “riposte mura” delle loro sedi, non potranno che seguitare a svilire il nobile significato di quelle parole che mi furono rammentate come ammonimento, svuotandole di ogni significato ma, aspetto viepiù drammatico, sarà quella di aver reso il bene della conoscenza, cosa fine a se stessa. Infine, non c’è palazzo della cultura che tenga, se alcune delle nostre dormienti associazioni, seguiteranno la loro soporosa attività, esclusivamente per “meritare” la prebenda dell’amministrazione di turno.
Marco Russo
Caro Marco, se nella nostra comunità vi fossero attive ed operanti 80 associazioni, il “Monte dei Pegni” non sarebbe finito li dove oggi bisogna recuperarlo. Abbiamo assieme vissuto l’affanno di questi giorni, nel cercare una via di uscita. Tu hai la sensazione che sulla questione eravamo affiancati dalle 80 associazioni iscritte all’albo del comune? Se c’erano, erano sicuramente un po’ timide e tiepide, forse anche troppo, visto il tema così spinoso e vitale. Non mi sento di giudicare i motivi che aggregano i cittadini, vuoi nelle associazioni vuoi nei partiti, a condizione che si persegua l’obiettivi per la crescita complessiva della nostra città. Questo, consentimi, e’ parte anche di una mia profonda serenità, nel sostenere che non vi debba essere alcun “corto circuito” fra la partecipazione alla vita politica e la militanza attiva nelle associazioni o in gruppi che perseguono intenti di valore e contenuto collettivo. Sono fra coloro che credono che sia dovere della politica ascoltare le istanze di tutti. Quando la politica si sottrae alle sue responsabilità, in questo caso, in materia di pianificazione e di risorse di politica culturale e… apre, di punto in bianco, alle associazioni, lo fa in “mala fede” e cerca non disponibilita, ma benevolenza a prezzo zero. Le associazioni dovrebbero rendersi, certo disponibili alla vita culturale della città, ma solo dopo che la politica ha assolto hai suoi doveri e fatto ciò che deve di fatto fare! Credimi… Su questo ci sarebbe ancora tanto da dire, e la battaglia sul futuro culturale di questa citta’ e’ ancora sospesa nell’aria. grazie Marco.