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“Questioni di colore, di stile e di identità” (Michelangelo Giovinale)

So bene che affrontando temi che solo apparentemente sembrano rivestire carattere marginale in questa città, si corre il rischio di passare per colui che imbandirebbe una tavola a partire dal dessert tralasciando gli indispensabili pane e acqua.
So bene che è visibilmente decadente l’immagine complessiva che si ha di Marcianise, costatando la mancata applicazione di un valido piano regolatore per il miglioramento estetico di aree che ormai hanno assunto strutturalmente volumi abitativi mai più modificabili.
In verità, basta poco a comprendere quanto sia veramente efficace il nostro piano regolatore cittadino, vista la lenta trasformazione che sta trasfigurando la trama e l’ordito di questa città che nel giro di pochi anni somiglierà molto più ad una disarticolata periferia.
In una citazione l’architetto Gae Laurenti ha detto: “dove le cose funzionano non si parla di periferia. Appena una zona è nominata periferia ha già assunto una connotazione negativa”.
Marcianise nel complesso è una grande periferia.
So bene che in città parlare di attuazione del piano regolatore, di quartieri e di aree periferiche, senza tirare nella riflessione “altri fattori” è poca cosa, tenendo conto anche dell’assenza di un dibattito che è mancato fra addetti ai lavori e amministratori pubblici.
Il dato è tratto. Se per alcune aree della città poco o nulla si può fare sui volumi architettonici che ormai disegnano le zone della città, altri strumenti “alternativi” potrebbero ribaltare il senso di percezione che si ha della città.
Non vorrei sembrare banale, ma sfido chiunque ad attraversare interi quartieri e a non percepire il disagio che si avverte nel rilevare l’assenza di norme progettuali per l‘armonizzazione estetica della città.
Senza alcuna nota polemica va anche ricordato che negli ultimi sette anni la città è stata caratterizzata da figure del settore e forse, valeva la pena prima ancora che preoccuparsi di progetti a venire di adoperarsi per norme efficaci per ristabilire il riassetto visivo della città.
Penso a quelle norme strategicamente efficaci, di microchirurgia applicata, utili a migliorare la percezione della città nel suo complesso.
Penso soprattutto al mai attuato piano colore della città, strumento ignoto mai utilizzato nelle nostre realtà urbane che integra perfettamente i piani urbanistici e i regolamenti edili urbani (RUE).
Uno strumento moderno e indispensabile, in uso in molte realtà urbane, per far fronte all’incremento anomalo dei volumi abitativi e al loro disagio visivo.
Quello del piano colore, oltre ad essere il presupposto per il ridisegno cromatico della città, risulterebbe un valido strumento nelle mani dei cittadini ma anche una filosofia amministrativa che vuole gli interventi estetici relativi alla pubblica edilizia non come espressione di una singola individualità ma espressione di un gusto che esprima il senso di identità collettiva.
Il risultato di un idoneo piano colore servirebbe a ridurre drasticamente la parcellizzazione estetica che in alcuni rioni si ha, come ad esempio nel rione Puzzaniello o ancora di più in quello della Madonna della Libera, morfologicamente composti da assi viari chiusi a cortina, interamente frammentati e disomogenei.
La disarmonia di interi prospetti, relativi ai nuclei abitativi che compongono gli assi viari, rimane una questione storicamente mai risolta.
Inoltre, far diventare norma un piano colore, scegliere delle tonalità, fissare dei parametri murari e indicare un ventaglio di scelte estetiche, richiederebbe uno studio antropologico del tessuto architettonico della città, stimolando gli operatori del settore a fissare un compromesso estetico fra l’alternanza delle facciate lasciate senza intonaco con tufo non curato e talune fiammanti facciate, sempre più riconducibili al gusto personale di questo o di quell’architetto.
L’architetto americano Kevin Lynch già negli anni 70 sosteneva che “una buona immagine ambientale dà al suo possessore un senso di profonda sicurezza emotiva” ecco perché oltre ad addurre motivazioni estetiche e cromatiche è necessaria una riflessione sul recupero della dimensione cromatica nella nostra città e sul senso di vivibilità da essa scaturita.
Ma cosa andrebbe fatto in concreto?
Motivare la politica ad aprirsi su temi quali il riordino della città e, punto fondamentale, intervenire sulla riqualificazione estetica dei quartieri con l’uso puntuale della norma. Solo una volontà politica “di ferro” può risollevare questa città dal grigiore in cui è finita.
Motivare gli addetti ai lavori, aprendo un tavolo di confronto, superando le parcellizzazioni personalistiche e le inutili individualità: l’aspetto della città è un problema di identità collettiva.
Avvalersi di una progettualità istituzionale, di sicura qualità e per nulla miliardaria.
Coinvolgere le cattedre di Scenografia dell’Accademia di Belle Arte di Napoli, tra le migliori d’Italia, concordando procedure che prevedono la collaborazione istituzionale tra enti dello stato.
Innovare la macchina amministrativa comunale, articolando un piano colore per la città che risulti flessibile con indicazioni generali e di dettaglio per ottimizzare l’intervento tra pubblico e privato. Uffici preposti al controllo, da un lato, e imprese e operatori del settore e cittadini, garantendo loro un ventaglio di scelte nell’ottica di una gestione collettiva della città.
Se la politica spalanca gli occhi sulla città, l’ente comune non sarà solo l’ente dei vincoli ma delle trasformazioni possibili.

Michelangelo Giovinale

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Alfonso Alberico - Marcianise

3 Comments

  1. hans memling
  2. Franco Zinzi
  3. Michelangelo Giovinale
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